Penale

Non è concussione se manca il potere di mettere in atto la minaccia contro un altro pubblico ufficiale

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di Paola Rossi

La Corte di cassazione con la sentenza n. 12873/2018 depositata ieri ha escluso la tentata concussione nel caso in cui la parte offesa sia un pubblico ufficiale non sottoposto né politicamente né gerarchicamente a chi ha provato a costringerlo a un determinata richiesta di favori per evitare le conseguenze negative prospettate. Inoltre, non può scattare la condanna neanche per il tentativo di concussione se la minaccia che doveva essere espressa da un intermediario non viene portata a conoscenza della potenziale parte offesa.

Il caso - È questo il motivo della mancata condanna di un sindaco che - tramite il vicepresidente della Commissione regionale politiche sociali e salute - minacciava di fatto il direttore generale di un'azienda sanitaria prospettando di adoperarsi affinché venisse bocciato il bilancio della Asl in questione . La minaccia del sindaco veniva correlata alla pretesa di vedere affidato un ruolo di vertice nell'ambito dello stesso distretto sanitario a una persona da lui raccomandata. Il Gup ha emesso nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere in quanto l'intermediario risulta che non avesse riportato la minaccia al diretto interessato e che anzi si fosse adoperato “spontaneamente” affinché la pretesa del sindaco venisse esaudita. Tra l'altro l'intermediario, secondo il Gup e la Cassazione che ora respinge il ricorso della Procura, sarebbe stato in una posizione politicamente sovraordinata rispetto al sindaco e che quindi non avrebbe potuto patire la pressione ricevuta mettendo in atto il comportamento richiesto dal primo cittadino. Il sindaco non è stato quindi assolto perché semplicemente la parte offesa era a sua volta un pubblico ufficiale, ma perché l'intenzione illecita non si era concretata nella condotta che il codice penale sanziona all'articolo 317. Ciò nonostante il sindaco sia stato assecondato dal soggetto che avrebbe dovuto riportare la minaccia.

Il rigetto del ricorso - La Corte di cassazione ha negato il ragionamento espresso dal Procuratore che sosteneva, al contrario che la condotta illecita fosse rilevante ugualmente anche se l'aiuto preteso veniva offerto senza indugi dall'intermediario che non riportava al direttore generale della Asl la minaccia di impedire l'approvazione del bilancio. La Corte dà ragione al Gup sull'insussistenza del reato sottolineando in particolare alcuni aspetti:
- la sovraordinazione politica del vertice della Commissione regionale rispetto al sindaco;
- il sindaco nonostante la carica di presidente della conferenza dei sindaci per la Asl non poteva incidere in alcun modo sulle decisioni del direttore generale dell'azienda sanitaria in quanto rivestivano ruoli organicamente «sganciati» tra essi.
Infine la Cassazione rileva, nel dare ragione alla decisione assolutoria del Gup la circostanza che l'intermediario compulsato a fare e soprattutto a far fare a un terzo una data azione di fatto non abbia mai riportato la richiesta comprensiva di minaccia affermando di aver giudicato la prospettazione di impedire l'approvazione del bilancio solo come uno sfogo.

Corte di Cassazione – Sezione VI – Sentenza 20 marzo 2018 n. 12873

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