Non scatta il patrocinio infedele se l’avvocato non fa attività dinanzi all’autorità giudiziaria
Non è tentativo di truffa il comportamento del professionista diffidato che accetta il mandato ma non promuove l’azione voluta dal cliente se non incamera il compenso pattuito da pagare solo alla fine della pratica
Con la sentenza n. 4587/2025 la Cassazione penale ha solo parzialmente accolto il ricorso di un avvocato che, pur colpito da una misura interdittiva, aveva fatto credere di svolgere normalmente attività difensiva e di assistenza legale a favore di clienti che, di fatto, raggirava in quanto ignari della situazione in cui si trovava il legale interdetto dall’esercizio dell’attività professionale.
Nell’accettare mandati difensivi per cause civili e penali e nell’aver fatto credere di svolgere attività in realtà mai svolte l’avvocato aveva commesso una pluralità di reati. In primis, quello di truffa, ma anche di infedele patrocinio, esercizio abusivo della professione e falso. Ma sulle imputazioni di un tentativo di truffa e di un caso di patrocinio infedele la responsabilità penale dell’avvocato-imputato è stata esclusa dalla stessa Cassazione e dichiarata l’illegittimità della sua condanna.
Il tentativo di truffa escluso
La Cassazione annulla senza rinvio la condanna per la vicenda in cui il professionista aveva ricevuto mandato per instaurare una causa di risarcimento, ma che di fatto non aveva mai avviata, e aveva falsamente comunicato al cliente di aver ottenuto un titolo per 10mila euro. In base a tale realtà alterata però l’avvocato aveva versato alla parte offesa degli acconti apparentemente conseguenti ad accordo transattivo. Ma le risorse economiche per i versamenti al cliente erano dello stesso avvocato che le erogava al fine di far credere al buon andamento della pratica e di celare le proprie inadempienze.
I giudici di merito avevano ravvisato il tentativo di truffa imperniato sull’ingiusto profitto del compenso professionale pattuito anche se da versare all’avvocato solo al termine della transazione.
Il pagamento del compenso da versare come pattuito a conclusione della transazione non portava a escludere - secondo i giudici di merito - la sussistenza del profitto anche se futuro. Il profitto ingiusto è infatti elemento costitutivo del reato ex articolo 640 del Codice penale. Ma non sussistendo la transazione e non essendo giunto il momento della chiusura della pratica, in cui sarebbe stato dovuto il compenso - secondo la Cassazione - il tentativo non andava contestato.
Il caso di insussistenza del patrocinio infedele
Da una delle diverse vicende inscenate dall’avvocato era scaturita poi la condanna per un fatto qualificato come patrocinio infedele oltre la truffa per aver incamerato compensi per attività mai svolta. Riguardava il caso di un cliente che aveva dato mandato al ricorrente per una causa penale e per l’impugnazione di un licenziamento con richiesta di risarcimento danni. Nella vicenda penale egli aveva comunque svolto attività in sede giudiziale ciò che fa scattare l’infedele patrocinio. E senza che vi sia bisogno che l’attività sia strettamente processuale, in quanto è sufficiente a configurare il reato la circostanza che sia stata svolta dinanzi all’autorità giudiziaria. Al contrario, nel caso della causa di lavoro in sede civile, mai instaurata dal ricorrente, non risultavano attività realizzate davanti ad autorità giudiziarie, e ciò impediva di configurare nella condotta scorretta dell’avvocato il patrocinio infedele.