Penale

Nulla la messa alla prova del minore disposta senza il contraddittorio tra le parti

Nota a Corte di Cassazione, II sez. penale, sentenza del 26 aprile 2021 n. 15588

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di Camilla Insardà*

Prima di procedere ad un'analisi più approfondita dei temi trattati dalla sentenza n. 15588/2021 della Corte di Cassazione , con la quale è stato ordinato l'annullamento senza rinvio di un'ordinanza del Tribunale per i minorenni di Bologna, con cui era stata concessa la sospensione del procedimento per messa alla prova, sulla sola base di dichiarazioni informali rilasciate ai Servizi Sociali e senza il parere del P.M. sull'adeguatezza del progetto di intervento, è bene offrire un quadro generale dell'istituto.

Si tratta di una misura alternativa al processo, prevista e disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448, recante l' "Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni", più precisamente dagli articoli 28 e 29.

Dalla lettera della prima norma citata si evince che la messa alla prova rappresenta la trasposizione dell'istituto anglosassone della probation nel settore minorile.

Com'è noto, nei Paesi di Common Law è prevista la possibilità di sospendere l'esecuzione di una sentenza di condanna, sottoponendo il responsabile ad un periodo di prova, sotto la supervisione delle autorità competenti, al termine del quale, in caso di giudizio positivo, verrà deliberata l'assoluzione.

Secondo la più recente definizione contenuta nella raccomandazione R(2010)1 del Comitato dei Ministri degli Stati Membri sulle "Regole del Consiglio d'Europa in materia di probation", affermano testualmente che essa "descrive l'esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure, definite dalla legge ed imposte ad un autore di reato. Comprende una serie di attività ed interventi, tra cui il controllo, il consiglio e l'assistenza, mirati al reinserimento sociale dell'autore, ed anche a contribuire alla sicurezza pubblica".

Venendo all'articolo 28 del cosiddetto Codice del processo minorile 448/1988, esso stabilisce che, qualora reputi necessario valutare la personalità del minore, il giudice possa sospendere con ordinanza il procedimento, per un periodo non superiore ad uno o a tre anni a seconda dei casi, durante il quale viene sospeso anche il decorso dei termini di prescrizione.

Sempre con ordinanza, prosegue il comma II, il minore viene affidato ai Servizi Sociali dell'Amministrazione della Giustizia, i quali, anche in collaborazione con i Servizi Locali, elaborano un programma finalizzato al reinserimento sociali dell'imputato, sottoposto alla loro osservazione.

Il progetto di "responsabilizzazione" elaborato dai Servizi sociali deve avere un preciso contenuto, in particolare, deve implicare il coinvolgimento del minore e della sua famiglia, indicare gli impegni assunti e le modalità di concreto svolgimento degli stessi. Come previsto dallo stesso articolo 28, il giudice può impartire ulteriori prescrizioni di carattere riparatorio e/o conciliativo.

Tuttavia, come ha fatto presente la V Sezione della Cassazione con decisione n. 7429/2014, tale facoltà incontra un limite tale per cui "è illegittimo il provvedimento con cui il giudice, senza la consultazione delle parti e del servizio minorile competente, imponga prescrizioni ulteriori rispetto a quelle stabilite nel progetto di intervento".

Come previsto dall'articolo 29, terminato positivamente il periodo di prova e fissata una nuova udienza, il giudice dichiara con sentenza l'estinzione del reato, in caso contrario di esito negativo, provvede ai sensi dell'articolo 32 o fissa l'udienza dibattimentale ex articolo 33.

In linea generale, trattandosi di uno strumento volto alla rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale, essenzialmente fondato sulla valutazione della personalità del minore e su una prognosi di concreto successo, l'applicazione della m.a.p. non è limitata dalla gravità del reato commesso, tanto più che con sentenza 412/1990, la Corte Costituzionale ha fornito un'interpretazione costituzionalmente orientata, per cui la m.a.p. del minore risulta astrattamente applicabile anche nell'ipotesi di reati punibili con l'ergastolo.

"Astrattamente" perché la concessione del beneficio resta comunque affidata al discrezionale e prudente apprezzamento del giudice minorile, chiamato a valutare le concrete possibilità di positivo sviluppo della personalità del ragazzo, di rieducazione e di reinserimento nel tessuto sociale.

Nel richiamare la propria consolidata giurisprudenza – in particolare, la sentenza 26156/2019 – , a proposito del potere di valutazione della personalità del minore, la Cassazione ha sottolineato che l'esercizio di tale potere discrezionale "deve essere sorretto da congrua e logica motivazione, che evidenzi l'esistenza di elementi idonei ad un favorevole giudizio prognostico".

In quest'ottica, la gravità dell'illecito commesso, la condotta precedente e successiva alla commissione del reato, il contesto socio-familiare, diventano tutti elementi che verranno tenuti in considerazione ai fini della concessione o meno della messa alla prova del minore.

La misura ex articolo 28 può essere chiesta una volta terminate le indagini preliminari, cioè dopo l'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero, con conseguente formulazione di un'imputazione.

Ritenendo del tutto irragionevole l'esclusione della concessione della m.a.p. in caso di giudizio abbreviato o immediato, con sentenza 125/1995, la Consulta ha dichiarato incostituzionale il comma IV dell'articolo in esame, per cui oggi è possibile chiedere ed ottenere il beneficio in qualsiasi momento, sino alla chiusura della fase dibattimentale, restando quale unica ipotesi di esclusione quella in cui sussistano tutti gli elementi per un immediato proscioglimento, ai sensi dell'articolo 425 del Codice di Procedura Penale.

Infine, la messa alla prova può essere concessa anche all'imputato divenuto maggiorenne nel corso del processo.

Venendo ora al tema delle impugnazioni, ai sensi del comma III dell'articolo 28, il P.M., l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza con la quale viene disposta la sospensione del processo con messa alla prova.

Nella fattispecie in esame, il Pubblico Ministero ha presentato ricorso per Cassazione lamentando, innanzitutto il vizio di motivazione e l'erronea applicazione di legge, in quanto il Tribunale ha concesso il beneficio della m.a.p. sulla sola base di dichiarazioni rilasciate informalmente dagli imputati agli operatori sociali, in assenza di qualunque garanzia difensiva, in secondo luogo, deducendo la nullità del provvedimento per violazione del contraddittorio, non avendo rilasciato il suo necessario parere sull'adeguatezza del progetto di intervento, all'esito dell'esame dei minori.

Ritenuto prevalente questo secondo motivo, dopo aver citato la granitica giurisprudenza sul punto, la Cassazione ha affermato che "il provvedimento di sospensione del processo e messa alla prova dell'imputato minorenne disposto senza che sul progetto di intervento elaborato dai servizi minorili sia stato consentito il contraddittorio tra le parti comporta una nullità di ordine generale sotto il profilo della violazione dei poteri del Pubblico Ministero di iniziativa nell'esercizio, o quanto meno nella prosecuzione, dell'azione penale, atteso che l'esito favorevole della prova comporta l'estinzione del reato".

Si tratta, cioè, di un caso di nullità assoluta ex articolo 178, comma I, lett. b) del Codice di procedura penale, come tale insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi del successivo articolo 179.

Passando poi all'analisi della prima censura, ritenuta comunque assorbita dall'altra, il Collegio ha ribadito quanto sostenuto dalle decisioni di altre Sezioni, anch'esse citate nella sentenza in commento, ossia che ai fini della concessione della messa alla prova è necessario che il giudicante esprima il suo discrezionale apprezzamento sulla personalità del minore e sulle sue concrete possibilità di reinserimento nel tessuto sociale.

Nello specifico caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale minorile bolognese ha concesso la m.a.p. senza effettuare l'esame dei quattro imputati, tutti presenti in udienza, ma fondando la propria decisione solamente sulle affermazioni da loro rilasciate ai Servizi Sociali, in sede di ascolto indiretto.

Benché ai fini dell'ammissione alla m.a.p. sia richiesto comunque l'accertamento in fatto di una responsabilità del minore, una sua confessione non costituisce requisito irrinunciabile.

Contrariamente alla passata giurisprudenza di merito che considerava il beneficio incompatibile con una mancata ammissione degli addebiti, più di recente, con la citata sentenza 40512/2017, la Cassazione ha riconosciuto che essa costituisce soltanto un indizio di ravvedimento, utile ai fini della prognosi positiva di rieducazione e di risocializzazione del minore.

Giunta a tali conclusioni, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 26 aprile 2021 n. 15588, ha disposto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza del 2020 del Tribunale per i minorenni di Bologna.

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*A cura dell'Avv. Camilla Insardà, Studio Legale Insardà

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