Nuovo Codice antimafia, la stretta sui diritti dei terzi non è retroattiva
La riforma del Codice antimafia non è retroattiva. E, almeno per il momento, la banca tira un sospiro di sollievo. La stretta decisa con la legge n. 161 del 2017 quanto a tutela delle ragioni del terzo interessato da una miusura di prevenzione non si applica ai procedimenti in corso al 19 novembre. Lo ha chiarito la Corte di cassazione con la sentenza n. 1412 della Quinta sezione penale depositata ieri.
La Corte ricorda innanzitutto che con la riforma di poche settimane fa si è proceduto a rendere più difficile l’eserczio del diritto reale di garanzia costituito in un’epoca antecedente il sequestro. Quello che in precedenza era alternativo, la mancanza di strumentalità del credito all’attività illecita e l’ignoranza in buona fede del collegamento stesso, adesso invece è cumulativo, nel senso che il mancato pregiudizio della misura di prevenzione scatta solo in presenza di entrambi gli elementi.
E tuttavia, puntualizza la sentenza, questo vale solo per il futuro. Per il passato bisogna tenere presente l’esistenza della legge n. 228 del 2012 con la quale è stata introdotta una sorta di disciplina-ponte, alternativa cioè all’applicazione di quanto era stato disposto nel 2011 con il codice delle misure di prevenzione entrato in vigore il 13 ottobre 2011. Si tratta cioè di una disciplina delimitata sul piano cronologico, varata nel 2012 interessa i beni confiscati all’esito di un procedimento di prevenzione per i quali non è applicabile la disciplina del 2011, sempre che il bene stesso non sia stato trasferito o aggiudicato anche in via provvisoria.
In questo senso i terzi, come le banche, titolari di diritti reali di garanzia, non vedevano pregiudicata la loro richiesta di ammissione al credito, a condizione di avere comunque presentato tempestivamente la domanda.
La sentenza, fatta questa premessa, osserva allora che deve valere quanto già disposto dalla stessa Cassazione in suoi precedenti, dove si faceva notare come i diritti dei terzi sono pienamente esercitabili a condizione che non emerga l’eventuale strumentalità del credito all’attività illecita oppure la sua funzione di mezzo di riciclaggio.
E nel merito il ricorso deve essere accolto perchè non sono stati valutati elementi come il fatto che i mutuatari non erano stati sottoposti ad alcun procedimento di prevenzione.
Corte di cassazione, Quinta sezione penale, sentenza 15 gennaio 2018 n. 1412