Penale

Nuovo Dpcm: spunta la raccomandazione a non spostarsi e restano i coprifuoco regionali (con autocertificazione)

La violazione dei limiti alla mobilità regionale può rilevare anche penalmente in caso di falsa dichiarazione

di Aldo Natalini

Il nuovo Dpcm pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 25 ottobre (e in vigore dal 26 ottobre) - il terzo, in tre settimane - non altera il (diversificato e mutevole) quadro regolatorio che, in punto di limitazioni di movimento delle persone, residuava all’esito del precedente Dpcm del 18 ottobre, da leggersi “in combinato disposto” con le ordinanze regionali restrittive via via emanate sui “coprifuochi notturni”.

Se stavolta il Governo si è intestato - disattendendo sul punto le richieste dei presidenti di Regione - la forte stretta sull’intrattenimento, disponendo la chiusura anticipata alle 18 di bar, ristoranti e pub e la sospensione tout court delle attività di palestre, piscine, centri termali, teatri e cinema, quanto agli spostamenti individuali l’esecutivo centrale si è limitato a una “forte raccomandazione” (peraltro con una formulazione più generica rispetto a quella che era circolata alla vigilia), senza sancire nuovi divieti alla mobilità interregionale.

 

Restano validi di “coprifuoco” regionali (con annesso obbligo di autocertificazione)

Data la separatezza degli ambiti normativi di rispettiva competenza, restano perciò valide fino a loro naturale scadenza (salvo proroghe) le misure maggiormente restrittive adottate (e adottande) - d’intesa col Ministro della Salute - da quelle Regioni che, in ragione della peculiare situazione epidemiologica registrata sui rispettivi territori, avvalendosi della possibilità di “irrigidimento” concessa dall’articolo 1, comma 2, lettera a) del Dl n. 125/2020, hanno via via vietato alle persone fisiche, dopo le ore 23 (Lombardia, Campania, Sicilia) ovvero le ore 24 (Lazio o Campania) e fino alle 5 del giorno successivo, la circolazione sull’intero territorio regionale (nel caso della Campania, addirittura quella interprovinciale rispetto alla provincia di domicilio, dimora o residenza), salvo che per «comprovate» esigenze lavorative o situazioni di necessità ed urgenza o per motivi di salute.

In proposito l’odierno Dpcm, come il precedente, non vieta lo spostamento tra regioni e nel territorio nazionale (o in ambito Ue, salvo eccezioni); dette limitazioni - ma solo in ambiti regionalmente limitati (stante il divieto costituzionale per le Regioni di adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone tra le regioni: vedi articolo 120, comma 1, della Costituzione) - sono rinvenibili (solamente) in quelle ordinanze dei presidenti di regione adottate ai sensi dell’articolo 32, comma 3, della legge n. 833/1978, d’intesa col Ministro della salute, in tema di limitazioni alla mobilità regionali.

La “seconda ondata” del virus è dunque governata da un quadro regolatorio che, a tutt’oggi, “abdica” alle regioni la possibile limitazione della circolazione delle persone. Con un risultato persino paradossale: quando, nello scorso marzo, il virus era diffuso solo (o soprattutto) al Nord il governo, col Dpcm del 9 marzo (attuativo del Dl n. 6/2020), chiuse tutto, trasformando l’intero Paese in “zona protetta” (donde l’obbligo generalizzato di autocertificare le circostanze legittimanti gli spostamenti al di fuori della privata abitazione); oggi che i contagi sono diffusi praticamente in tutto il territorio nazionale (soprattutto nelle aree metropolitane), sono invece le regioni a decidere, “a macchia di leopardo”, in vece dell’esecutivo, i “coprifuoco” notturni.

 

Rispunta il modulo di autocertificazione

In questo quadro frammentato, il ministero dell’Interno si è limitato, nei giorni scorsi, a mettere a disposizione, sul proprio sito, un modulo di autodichiarazione unico, compilabile digitalmente per campi a cura dell’interessato, da esibire alle forze dell’ordine durante i controlli di polizia a giustificazione degli spostamenti che dovessero avvenire in quelle regioni ove sono in vigore le ordinanze restrittive che limitano gli spostamenti notturni delle persone. E poiché l’eventuale mendacio rileva penalmente ai sensi dell’articolo 483 del Cp in riferimento all’articolo 76 del Dpr n. 445/2000 (in caso di mendacio in atti sostitutivi di atto notorio v. Cassazione, sezione V penale, n. 3701/2018, Ced 275106; Id., n. 27702/2018, Ced 273478; sezione feriale, n. 43792/2018, Ced 273748; Id. n. 27739/2019), indirettamente le regioni, avvalendosi dei propri poteri d’ordinanza in materia di igiene e sanità, hanno così attivato la “leva penale”, laddove la violazione delle misure contenitive del vigente Dpcm, come dei precedenti, dà luogo solo a sanzioni amministrative (vedi il precedente commento del 23 ottobre 2020).

 

Spostamenti individuali: spunta un’altra raccomandazione  

Ferme le misure regionali sui “coprifuoco notturni”, ove adottate, la versione definitiva del nuovo Dpcm - che resterà in vigore fino al 24 novembre (salvo eventuali novelle) - all’articolo 1, comma 4, raccomanda «fortemente a tutte le persone fisiche» - ma non vieta - «di non spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità, per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi». Rispetto all’ultima bozza, è saltata la specifica di non spostarsi «dal Comune di residenza, domicilio o abitazione»: a dimostrazione che, sul punto, vi è stata una forte discussione tra esecutivo, regioni e Cts, all’esito della quale è stata definitivamente accantonata - almeno per ora - l’ipotesi di ripristinare il divieto (amministrativo) di spostamento tra regioni o di espatrio.

Questa, come le precedenti “raccomandazioni” pure contenute nel Dpcm del 18 ottobre scorso, è una misura di carattere non prescrittivo: si tratta di una mera esortazione “paternalistica” che non integra alcun precetto giuridicamente vincolante cui si possa correlare l’applicazione di sanzioni (amministrative e men che meno penali per il tramite dell’articolo 483 del Cp) per comportamenti difformi. Nessuna autocertificazione, dunque, è abbinabile a questo che non è nient’altro che un invito, per quanto “autorevole”.

Se nessuna sanzione era contestabile per l’eventuale violazione delle raccomandazioni già contenute nel Dpcm del 13 ottobre (e oggi riprodotte: la più nota quella di evitare feste in casa nonché di ricevere persone non conviventi in numero superiore a sei), a maggior ragione alcuna conseguenza giuridica può addebitarsi a chi disattenda quella in esame, che non sottende alcuna regola cautelare volta a scongiurare un pericolo di contagio (a meno di non ritenere che ogni spostamento determini ex se un aumento, ma sarebbe una soluzione troppo estrema): solo in questo caso, infatti, la violazione anche di una mera raccomandazione potrebbe costituire eventualmente il parametro per ricostruire, in sede processual-penale, la “misura oggettiva” della colpa (specifica) in capo al soggetto agente, al pari della violazione di un ordine, di una disciplina (si pensi ad un caso di epidemia colposa originato da un cluster esploso all’interno di un’abitazione privata in occasione di una festa con parecchi partecipanti, tra cui uno positivo: vedi il commento del 23 ottobre 2020).

 

Ordinanze sindacali “anti-movida”

Sulla possibilità di chiusura, dopo le ore 21, di «strade o piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento» il nuovo Dpcm, all’articolo 1, comma 3, continua a prevedere - esattamente come il precedente, quell’anodina formula impersonale («può essere disposta»), senza intestarla ad alcuna autorità.

Dunque, nonostante l’integrale riscrittura del vigente Dpcm (che, a differenza del precedente del 18 ottobre, non è stato redatto con tecnica novellistica: vedi il commento del 23 ottobre), il governo non ha approfittato per chiarire la natura dell’atto e la competenza a provvedere. Sarebbe bastato che “incorporasse” nel decreto la soluzione dettata dal Viminale con la circolare del 20 ottobre scorso.

Come si ricorderà, dal testo ufficiale del precedente Dpcm del 18 ottobre, dopo le proteste dell’Anci, era sparita la parola “sindaci” tanto da rendere necessario un immediato chiarimento: nell’occasione, in via d’urgenza è stato il Ministero dell’interno - oggi, in via stabile, sarebbe potuta essere la Presidenza del consiglio - a chiarire che lo strumento di declinazione della nuova misura è da individuarsi nelle ordinanze del Sindaco, quale autorità sanitaria locale, ai sensi dell’articolo 32, comma 3, della legge n. 833/1978 e dell’articolo 50 del Dlgs n. 267/2000 (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali), nonché, in qualità di ufficiale di governo.

 

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