Amministrativo

Obbligo vaccinale, si applica a "tutto" il personale sanitario e non c'è obbligo di repechage

Con il provvedimento in commento (sentenza 7 gennaio 2022) il Tribunale di Como sintetizza i principi di carattere generale (anche di derivazione comunitaria) che sottostanno agli obblighi vaccinali in ambito sanitario

di Giampaolo Furlan*

Il Tribunale di Como, con provvedimento in data 7 gennaio 2022 , ha rigettato un ricorso di urgenza per un sanitario non vaccinato che chiedeva la riammissione in servizio dopo essere stato sospeso.

Il caso
Un sanitario, dopo aver ricevuto l'atto di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale dell'ATS e aver ricevuto la conseguente sospensione da parte della struttura sanitaria presso la quale era assunto, ha contestato la sospensione dal servizio senza retribuzione, argomentando il proprio ricorso sulla base di una asserita:
- illegittimità del provvedimento di sospensione, per mancato assolvimento dell'obbligo di ricollocazione (c.d. obbligo di repechage);
- violazione del principio enunciato dalla sentenza della Corte Cost. n. 5/2018;
- violazione dell'art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE, dell'art. 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di discriminazione), dell'art. 3 della Costituzione, dell'art. 4, comma 8, dl 44/2021.

La decisione del giudice
Il Tribunale ha rigettato integralmente la domanda sostenendo:
• con riferimento all'obbligo di repechage: il 27/11/2021 è entrato in vigore il d.l. 172/2021 il cui art. 1 co 1 lett. b) ha sostituito il precedente art. 4 dl 44/2021 e quindi - oltre a confermare per tutto il personale delle professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, con decorrenza dal 15 dicembre, l'obbligo vaccinale, con conseguente sospensione immediata dall'attività e dalla retribuzione di chi non vi ottemperi - non ha più previsto alcun obbligo di repechage per il datore di lavoro. Inoltre, in base all'art. 4 bis dl 44/2021, il Tribunale ha confermato che l'obbligo vaccinale è imposto, senza alcuna limitazione a tutti i "soggetti, anche esterni, che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo 1-bis".

Di conseguenza, conclude il Tribunale, tutti i dipendenti del settore sanitario, per poter lavorare, devono essere vaccinati a prescindere dalle mansioni assegnate.
Infatti, l'art. 4 dl 44/2021 cit. non limita affatto l'obbligo di vaccinazione al solo personale sanitario che si occupa direttamente della cura dei pazienti.

Poiché la norma ha il dichiarato fine "di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza" (co 1), il Tribunale ha ritenuto del tutto logico che l'obbligo di vaccinazione debba estendersi anche al personale sanitario che, pur non occupandosi direttamente della cura dei pazienti, ha comunque, nell'abituale svolgimento della propria attività professionale, contatti interpersonali con altro personale. Tale altro personale infatti potrebbe, se contagiato, diffondere a sua volta il virus anche recandosi in altre strutture, mettendo così a serio rischio la sicurezza delle cure ai pazienti più fragili e vulnerabili.
Il successivo co 6 cit. non limita affatto la sospensione alle sole prestazioni o mansioni di cura e assistenza.

La norma pertanto, proprio per tutelare al massimo grado possibile la salute del personale sanitario (come prescritto dal D Lgs 81/2008 a ogni lavoratore, che ha il dovere di "prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni" art. 20 co 1, e a ogni datore di lavoro, vd. art 279 co 2 lett. a) e di riflesso, anche dei pazienti che hanno in cura, impone l'obbligo della vaccinazione all'intera categoria del personale sanitario e non soltanto a coloro che prestano direttamente l'attività di cura e assistenza.

Infatti, "la vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall'art. 4 d.l. n. 44 del 2021 per il personale medico e, più in generale, di interesse sanitario risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, secondo il già richiamato principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il pure richiamato principio di solidarietà, che anima anch'esso la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili" ( CdS 7045/2021 ).

• Con riferimento alla pretesa violazione del principio enunciato da Corte Cost. 5/2018 : anche sotto questo profilo il Tribunale ha ritenuto infondato il ricorso. Con tale sentenza infatti dice il giudicante, la Corte nel confermare il proprio precedente indirizzo, ha precisato "che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)".

Il Giudice ritene pertanto sussistere tutte le tre condizioni richieste in quanto la vaccinazione degli operatori sanitari:
(i) è indubbiamente rivolta non solo a tutelare la loro salute, ma anche a preservare quella di tutti coloro che lavorano o si trovino per sottoporsi a cure, nella medesima struttura sanitaria,
(ii) i dati della ricerca medica sulle condizioni sanitarie delle persone vaccinate (rapporto AIFA - doc 14 ricorso) escludono che la vaccinazione "incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili", soprattutto se comparati con quelli di coloro che, non vaccinati, hanno contratto l'epidemia; (iii) gli eventuali danni ulteriori danno diritto all'indennizzo ex art. 1 co 1 l. 210/1992, riconosciuto a tutti i soggetti danneggiati da qualsiasi tipo di vaccinazione obbligatoria.

• Con riferimento alla pretesa violazione dell'art. 21 Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE, art. 14 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di discriminazione), art. 3 costituzione, art. 4 comma 8 dl 44/2021: il Giudice ha ritenuto di escluderla perché, in base all'art 52 della Carta, "eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla . . . Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui", proprio come nella vicenda in esame, in cui l'esigenza di contenere la diffusione del virus, per tutelare la salute dell'intera collettività, è riconosciuta come necessità primaria dalla stessa UE, prima ancora che dai singoli stati membri.

Sul punto infatti il Tribunale di Como cita il Tribunale I grado UE 527/2021 , che "nell'escludere che il certificato Covid digitale UE costituisca una violazione del diritto alla libertà di circolazione, ha precisato che il reg. 2021/953 - con cui il Parlamento e il Consiglio UE hanno adottato una normativa quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione dei certificati - lascia impregiudicata la competenza degli stati membri nell'imporre restrizioni alla libera circolazione per arginare la diffusione della pandemia, sottolineando peraltro che, proprio grazie al certificato digitale, è stata favorita la ripresa della libertà di circolazione, in forza del clima di fiducia basato su un'infrastruttura a chiave pubblica, con identificativi univoci. Sulla questione della vaccinazione obbligatoria infine, si è espressa anche la CEDU (Grande Camera 8 aprile 2021, sent. Vavřička and others v. the Czech Republic) che ha sancito la compatibilità con l'art. 8 della Convenzione dell'obbligo vaccinale infantile (contro nove malattie, tra cui poliomielite, tetano ed epatite B), previsto dall'ordinamento della Repubblica Ceca quale condizione per l'ammissione al sistema educativo prescolare."

In conclusione ci sembra che il provvedimento del Tribunale di Como sia pienamente condivisibile e sintetizzi in maniera impeccabile i principi di carattere generale (anche di derivazione comunitaria) che sottostanno agli obblighi vaccinali in ambito sanitario e che potranno essere pacificamente applicati anche per gli altri settori produttivi ai dipendenti ultracinquantenni.

____


*A cura di Giampaolo Furlan, Partner Galbiati Sacchi e Associati

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©