Lavoro

Omessa consultazione sindacale e violazione dell'obbligo di informazione quali condotte antisindacali del datore di lavoro

Nota a Tribunale di Firenze, decreto del 20.09.2021

di Andrea Pagnotta

Con decreto del 20 settembre 2021, il tribunale di Firenze in funzione di Giudice del Lavoro, decideva nel merito del ricorso proposto da una organizzazione sindacale avverso la condotta adottata dalla soc. G.D. in tema di licenziamento collettivo dei numerosi dipendenti della sede di Firenze.

Il giudice adito accoglieva le istanze dell'organizzazione sindacale promotrice condannando la convenuta G.D. alla rimozione delle condotte antisindacali ex art. 28 l. 300/70 adottate in violazione della disciplina in materia di licenziamenti collettivi ex l. 223/91, ovvero del mancato obbligo di consultazione delle oo.ss.
(Normativa di riferimento: Art. 28 l. 300/1970; l. 223/91. Art. 9 ccnl metalmeccanico e ss. Accordi del 09.07.2020; dir. 2002/14/ce; d.lgs 25/2007)

Il fatto.

La società G.D. decideva di cessare l'attività di produzione dello stabilimento di Firenze; in questo contesto, la dirigenza aziendale optava dapprima per la collocazione in ferie d'ufficio dei dipendenti per poi comunicare il recesso dal rapporto di lavoro ( rectius licenziamento) senza aver preventivamente avviato le necessarie procedure di consultazione di cui alla l. 223/91 in materia di licenziamento collettivo, ovvero secondo quanto stabilito dal ccnl di categoria e successivi accordi aziendali.

L'obbligo di consultazione sindacale: Dalle origini comunitarie alla codificazione nazionale.

L'obbligo di consultazione, ovvero di informazione dei lavoratori trae origine da una serie di interventi di natura comunitaria ( rectius direttive) adottati in diverse fasi che possiamo così sinteticamente riassumere:

• Una prima fase, con avvio negli anni 70, culminata con l'adozione della direttiva 89/391 del 12 giugno 1989 recante l'obbligo di consultazione in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
• Una seconda fase ove i provvedimenti più significativi adottati dal legislatore comunitario sono rappresentati dalla direttiva 94/95 ce recante disposizioni sulla istituzione dei comitati aziendali europei (cae) e delle procedure di consultazione e di informazione dei lavoratori e dalle direttive gemelle 2001/86/ce e 2003/72/ce;
• Una terza fase ove la norma principale può identificarsi nella direttiva 2002/14 ce, tardivamente recepita dal nostro legislatore nel successivo d.lgs n. 25/2007. Rileva all'uopo come la corte di giustizia europea in tema di titolarietà del diritto di informazione e consultazione da subito si sia espressa favorevolmente, invitando le legislazioni nazionali a garantire che i lavoratori potessero esercitare tale diritto (cfr.Corte di Giustizia Ce, 8.6.1994, c-383/92 e c-382/92).

Tanto la dir. 2002/14 quanto la sua diretta attuazione nel nostro sistema per il tramite del d.lgs 25/2007 raccomandano che l'efficacia dell'esercizio del diritto di informazione e consultazione trovi tutela nelle modalità previste dai contratti collettivi di categoria.

In questo contesto la procedimentalizzazione determinata dalle clausole contrattuali impone che le scelte gestionali dell'impresa di determinante impatto sulla sfera dei lavoratori (licenziamenti, cessioni di rami d'azienda, cessazione delle attività, processi di aggregazione, etc..) debbano essere obbligatoriamente oggetto di consultazione con le organizzazioni sindacali (RSUo RSA) costituite. Conclusione a cui si giunge attraverso una combinata lettura della normativa comunitaria e quella nazionale, le cui previsioni di cui all'art. 4 comma 3, co, 4 e co, 5 non sono da ritenersi residuali ed erudibili, ma bensì basi di partenza degli obblighi a cui la contrattazione collettiva non può derogare in pejus. Al riguardo i contratti collettivi ad esempio devono precisare sull'andamento economico e dell'attività dell'impresa, sulla situazione occupazionale, sui relativi rischi e le misure da adottare in caso di crisi economica (art. 4. Co.3 d.lgs 25/2007), così come la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori deve concludersi con risposte motivate in ragione del parere espresso (art. 4. Co. 4 d.lgs. 25/2007).
Tali obblighi trovano però, al fine di bilanciare le prerogative dei lavoratori con quelle della libertà d'impresa del datore, una deroga ( art. 5 co.2) in tutte quelle informazioni afferenti l'attività produttiva ed organizzativa che per la loro delicatezza ed importanza potrebbero creare difficoltà, ovvero danni economici dalla loro diffusione.

2.Natura giuridica dell'obbligo di consultazione e di informazione nel caso G.D.


Come già su esposto, l'obbligo di consultazione ed informazione trae origine dalle direttive comunitarie che si sono succedute nel tempo. Attesi gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali e la valenza che riveste l'adozione di una scelta gestionale d'impresa quale il licenziamento collettivo, il legislatore ha recepito tale obbligo nella l. 223/91(norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro).

Più in particolare, all'art. 4 co.2 della predetta norma la procedura di licenziamento collettivo prevede in via preliminare che "le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato". Ed in particolar modo secondo quanto previsto dal successivo co.3 del medesimo art. 4, "la comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione: Dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva".

Oltre a tale previsione, in ossequio alle finalità di cui alla dir. 2002/14 e successivo d.lgs. 25/2007, l'obbligo di consultazione ed informazione nel caso di specie trova previsione nell'art. 9 del ccnl metalmeccanico e successivi accordi sindacali del 09.07.2020 il che ci permette di poterlo qualificare sotto un duplice aspetto: Quello normativo, e quello contrattuale, ovvero pattizio.

Orbene, la violazione degli obblighi di cui alle clausole previste dal ccnl di categoria ovvero di quanto previsto dalla l. 223/91 configura, per giurisprudenza consolidata sempre "condotta antisindacale" e come tale trova tutela nell'art. 28 della l. 300/70.

3. Legittimazione attiva ed ambito di applicazione del ricorso per condotte antisindacali ex art. 28 l. 300/70

L'art. 28 dello statuto dei lavoratori rappresenta norma di chiusura della legge n. 300/70 conferendo alle organizzazioni sindacali legittimate la facoltà di adire il tribunale in funzione di giudice del lavoro ogni volta che il datore di lavoro ponga in essere condotte antisindacali, ovvero condotte che limitino le prerogative dei lavoratori e delle organizzazioni rappresentative come la libertà sindacale, il diritto di sciopero, la sottoscrizione di un contratto collettivo e di quelle condotte non tipizzate dal legislatore e sovente disciplinate dai ccnl, ovvero dagli accordi sindacali.

Dunque, ai fini di poter ricorrere al procedimento disciplinato dalla norma de qua è necessario che i soggetti ricorrenti godano di legittimazione attiva. In questo senso, la giurisprudenza di legittimità è praticamente univoca nel riconoscere tal requisito alle organizzazioni sindacali che siano dotate di rappresentatività ed organizzazione sul territorio nazionale e che svolgano in concreto attività anche solo su parte del territorio nazionale ove la legittimazione a sottoscrivere contratti collettivi rimane solo indice secondario al fine di dimostrare l'effettiva dimensione dell'organizzazione stessa ( cfr. Cass. Sez. Lav. N.11322 del 01.06.2015; cass. Sez. Lav n. 12885 del 09.06.2014 e cass. Sez. Lav. N.16787 del 29.07.2011).

4. Brevi note in tema di evoluzione giuridica dell'obbligo di informazione e consultazione

Come esaustivamente rappresentato, l'istituto ad oggetto ha trovato originariamente disciplina nella normativa comunitaria per poi essere cristallizzato nella legislazione nazionale ex d. Lgs 25/2007. Come sue esposto, se tale istituto trova legittimo riconoscimento tanto dal punto di vista normativo, quanto da quello contrattuale, è lecito domandarsi se la natura di "condotta antisindacale " sia stata riconosciuta "ab origine " come tale.

Sul punto possiamo affermare che dottrina e giurisprudenza non sono mai state concordi nell'affermare ciò. Infatti, mentre è indubbio che le violazioni aziendali nei confronti dei diritti sindacali sanciti dallo statuto dei lavoratori, ovvero di quelli costituzionalmente garantiti trovano tutela nell'art. 28 della l. 300/70, lo stesso non si è potuto affermare nel tempo per quelli di origine contrattuale, ovvero pattizia.

A livello dottrinario, i sostenitori della "non-antisindacalità" dell'obbligo di informazione e consultazione fondavano le loro ragioni sull'inopportunità che tale istituto subisse una giurisdizionalizzazione, trasportando nelle sedi giudiziarie il conflitto azienda/sindacato, potendo quest'ultimo agire, ovvero difendersi attraverso altri strumenti come lo sciopero o la pressione sul datore di lavoro. La minoritaria giurisprudenza di merito in tempi decisamente non troppo recenti , aderendo alla medesima dottrina ha iniziato a fondare le proprie motivazioni sull'assunto che "la propria immagine ogni sindacato se la deve costruire da sé e non è consentito ricorrere al giudice invocando il rimedio speciale di cui all'art. 28 L. n. 300 del 1970, per sopperire con la forza legale dei provvedimenti giudiziali al proprio difetto di forza per scarsa presenza tra i lavoratori o per debole combattività dei propri aderenti o per crisi di credibilità verso la base" ( cfr. Pret. Lodi 18.2.95 ).

Sulla stessa linea della non antisindacalità si è mantenuta anche la suprema corte sino alla fine dell'anno 1989, sostenendo che "l'art. 28 dello statuto dei lavoratori riposa sulla violazione di norme costituzionali o quanto meno di norme generale, e non anche di quelle di natura contrattuale" ( così cass. Civ.2573/80; cass. N. 3263/82; cass. Civ. 5320/1988).

Questo primo orientamento subiva una prima battuta di arresto con sent. n. 4063/89 della stessa Suprema Corte la quale sancì il principio per cui si potesse ritenere insussistente il requisito dell'antisindacalità della violazione dell'obbligo di informazione e consultazione in assenza di un obbligo normativo, ovvero contrattuale o pattizio. Di conseguenza, sarebbe da ritenersi come condotta antisindacale (e dunque meritevole di tutela ex art. 28 l. 300/70) ogni qualvolta avesse trovato previsione nella legge, ovvero nella contrattazione collettiva.

A sostegno di questa decisione "apripista" arrivò la sentenza 2808/1994, nella quale la Suprema Corte , con una certa lungimiranza affermò che " solo un'informativa precisa e sistematica sugli straordinari previsti o pattuiti ( con riferimento al ccnl metalmeccanico vigente) fosse in grado di regolare e tutelare il livello occupazionale".

Da ciò discende che l'inadempienza del datore, rapportata soprattutto agli interessi collettivi di cui le oo.ss. sono portatrici, configura sempre condotta antisindacale, così come successivamente affermato con sent. 5295/1997 dalla stessa Cassazione a Sez. Unite.

5. Breve rassegna di giurisprudenza in tema di condotta antisindacale per violazione degli obblighi di consultazione ed informazione

I. Costituisce comportamento antisindacale la mancata convocazione di un membro della rsu agli incontri per discutere, a seguito di una cessione d'azienda, di una questione già disciplinata in un accordo aziendale dell'azienda ceduta, che a seguito della cessione conservi la propria efficacia e sempre che il membro di rsu ora escluso avesse partecipato alle trattative per la stipulazione di quell'accordo.
(trib. Milano 3/10/2006, est. Scudieri)

II.Pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che, in caso di sospensione di lavoratori in cigs, attui la procedura di cui all'art. 2 dpr 10/6/2000 n. 218, violando al contempo la procedura disciplinata dall'art. 5 l. 20/5/75 n. 164 e dall'art. 1, 7° ed 8° comma, l. 23/7/91 n. 223, con conseguente ordina al datore di lavoro di revocare le sospensioni in cigs, riammettendo al lavoro i lavoratori sospesi (nel caso di specie, è stato rilevato che il datore di lavoro aveva omesso di comunicare il numero complessivo dei lavoratori occupati e di indicare i criteri con i quali sarebbero stati individuati i lavoratori da sospendere, mentre è stata ritenuta irrilevante l'omessa comunicazione dei motivi di esclusione della rotazione).
( trib. Milano 26/7/2003, decr., est. Atanasio )

III. Ove la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, nel fissare i limiti massimi per il lavoro straordinario di ciascun dipendente, preveda anche l'obbligo del datore di lavoro di informare il sindacato in ordine al numero di ore di lavoro straordinario svolto dai dipendenti, l'inottemperanza del datore di lavoro a quest'obbligo di informativa è idonea ex se oggettivamente a costituire condotta antisindacale ed a legittimare, in presenza degli altri presupposti di legge, il ricorso dei sindacato al procedimento di repressione contemplato dall'art. 28 dello statuto dei lavoratori
( Cass. Sez. Lav. n. 7347 del 17. Aprile 2004 )

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