Opposizione al rilascio del passaporto, l'ex deve provare l'adempimento degli obblighi verso i figli
Per le Sezioni Unite, sentenza n. 22048 depositata oggi, il provvedimento che decide sul reclamo non appartiene alla volontaria giurisdizione ed è ricorribile in Cassazione
Cambio di rotta delle Sezioni Unite sull'orientamento che prevede l'appartenenza alla volontaria giurisdizione del provvedimento che decide sul reclamo avverso il decreto del giudice tutelare di autorizzazione al rilascio del passaporto a favore di genitore di figli minori, nel corso di un contenzioso con la ex. La Cassazione, sentenza n. 22048 depositata oggi, ha prima giudicato ammissibile e poi accolto il ricorso straordinario ex articolo 111 della madre contro il provvedimento del Tribunale di Brescia che "comparando gli interessi giuridici sottesi alle posizioni dei coniugi" aveva ritenuto che il diritto del marito al rilascio del passaporto, espressione della fondamentale libertà di movimento, non potesse considerarsi "recessivo a fronte di mero timore muliebre, di per sé insufficiente a motivare un legittimo dissenso".
Per affermare la natura contenziosa del giudizio, secondo il massimo consesso, appaiono risolutive le indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale, dalla Cedu e infine dalla stessa Cgue che "tutte convergono verso la conclusione opposta, e cioè che il procedimento serve alla tutela di diritti in senso proprio".
In particolare, argomenta la Corte, il provvedimento serve ad evitare che il genitore, espatriando, si sottragga ai propri doveri verso i figli minori e dunque implica una decisione su diritti contrapposti. E resta legittimato dal fatto che l'eventuale decisione negativa non rimanga automaticamente in vigore a tempo indeterminato, proprio perché potrebbe diventare sproporzionata.
In questo senso, ed in risposta al quesito posto alle Sezioni Unite, la Corte osserva che: la qualificazione del decreto che decide sul reclamo "non è e non può essere quella di un semplice provvedimento di volontaria giurisdizione". E non può esserlo perché "al fondo non c'è la semplice cura degli interessi in gioco, ma la vera definizione di un conflitto intersoggettivo nel profilo che inerisce alla tutela del diritto del minore a ricevere dai genitori l'adempimento degli obblighi di mantenimento, istruzione, educazione e assistenza anche morale (art. 147 cod. civ.) in contrapposizione col diritto del genitore di munirsi del titolo che gli consenta di esercitare la libertà garantita (salvi gli obblighi di legge) dall'art. 16 Cost.".
Ciò, continua la motivazione, integra la natura "sostanzialmente contenziosa del procedimento oppositorio del reclamo, procedimento il quale - al di là dell'essere stato prescelto il più duttile e sollecito modello camerale di definizione - deve considerarsi strutturato in coerenza col profilo contenutistico e funzionale".
Tale caratteristica – oggi esplicitamente recepita dalla novellazione prevista dal Dl n. 69 del 2023 - imprime al decreto finale quella valenza decisoria che è insita nella natura contenziosa del procedimento teso a contestare il presupposto del rilascio dell'autorizzazione; "difatti gliela imprime in un ambito evidente di definitività, perché un'autorizzazione del genere o è concessa o non lo è, e una volta seguita dall'espatrio ha raggiunto anche il suo fine pratico; sicché il provvedimento di autorizzazione, che sia adottato o confermato in sede di reclamo, è definitivo, non essendo altrimenti impugnabile né destinato a essere assorbito in un provvedimento distinto a sua volta impugnabile".
La duplice valenza legittima dunque l'assoggettamento del decreto al ricorso straordinario "secondo l'uniforme soluzione alla quale è stata ancorata – nel periodo più recente - la nozione di decisorietà in modo compatibile col dispiegarsi della tutela camerale". Si tratta dell'unica conclusione sostenibile nell'alveo della garanzia costituzionale dell'articolo 111, settimo comma, Cost., rimanendo la decisorietà integrata dall'attitudine del decreto, così esitato, a un giudicato allo stato degli atti.
Il ricorso per cassazione è quindi ammissibile oltre ad essere fondato. Bocciata quindi la decisione che comparando gli interessi sottesi alle posizioni dei coniugi aveva affermato che il diritto del marito al rilascio del passaporto non potesse considerarsi recessivo "a fronte di mero timore muliebre", essendo insufficiente a motivare un legittimo dissenso.
La legge, afferma la Corte, ha infatti attribuito esplicitamente al titolare del passaporto che si trovi all'estero l'onere di fornire la prova dell'avvenuto adempimento degli obblighi alimentari nei confronti dei figli minori, giacché la conseguenza del mancato assolvimento è il ritiro del passaporto.
Agli aventi diritto (e per essi all'altro genitore) non spetta dunque altro che l'allegazione dell'altrui inadempimento, sia opponendosi al rilascio dell'autorizzazione, sia facendo istanza ex articolo 12 una volta che l'autorizzazione sia stata rilasciata; mentre è assegnato sempre all'obbligato l'onere di dimostrare, anche se abbia già ottenuto il passaporto, il rispetto dei doveri derivanti dalla qualità di genitore.
Il tribunale ha così errato nel pretendere che fosse la reclamante a dover assolvere all'onere dimostrativo della "dedotta attuale inadempienza paterna agli obblighi di mantenimento dei figli o, comunque, di un più generale disinteresse alle esigenze economiche della prole".
Né vi è una preminenza del diritto del marito al rilascio del passaporto in funzione della sua "libertà di movimento". Giacché la "libertà di movimento" del genitore di prole minore presuppone, in caso di opposizione, la previa dimostrazione dell'assolvimento degli obblighi di legge verso la medesima prole.