Ostia calpestata: è reato
Per la Cassazione il reato di turbatio sacrorum ex art. 405 c.p. è integrato sia dall'impedimento della funzione che dalla turbativa della stessa
Gettare a terra e calpestare un'ostia consacrata durante la messa è reato. E non basta lo stato confusionale per rendere meno grave il comportamento oltraggioso nei confronti della religione cattolica. È quanto emerge dalla recente sentenza n. 23337/2021 della terza sezione penale della Cassazione.
La vicenda
Protagonista della vicenda è un detenuto dell'Ucciardone che nel corso della celebrazione della messa all'interno della casa circondariale riceveva, durante la comunione, l'ostia consacrata che poi gettava per terra e calpestava.
L'uomo veniva perciò condannato a due mesi di reclusione per i reati di cui all'art. 404 e 405 c.p. per avere offeso la religione cattolica e per avere turbato l'esercizio della funzione religiosa.
Condannato con doppia conforme, l'imputato si rivolge quindi al Palazzaccio lamentando che i giudici di merito avrebbero omesso una logica motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato ed errato nella valutazione delle circostanze del reato per cui si procede.
Il ricorso
In particolare, lamenta l'uomo, sarebbe assente un'effettiva coscienza e volontà di vilipendere cose destinate al culto o oggetti di culto, poiché lo stesso sarebbe stato preda di un grave stato patologico legato alla propria situazione familiare che ne avrebbe alterato il processo volitivo.
Inoltre, ai fini dell'integrazione del reato di turbamento delle funzioni religiose, occorrerebbe l'impedimento attivo dell'esercizio concreto delle stesse e l'intenzione di cagionare l'impedimento.
Cosa che invece nella specie, a suo dire, non sarebbe avvenuta, poiché la condotta era stata così breve da non essere idonea a determinare la cessazione o l'interruzione della celebrazione religiosa. Infine, si duole l'imputato, del mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, posto che la condotta criminosa e le conseguenze non certo rilevanti, sarebbero elementi inidonei a integrare una offesa rilevante al bene giuridico protetto dalla norma.
La decisione
Gli Ermellini, però, giudicano il ricorso inammissibile per la prospettazione di motivi ripetitivi, disattesi dai giudici di merito con motivazione immune da censure.
Ad ogni modo, ritengono dal Palazzaccio che, fermo l'accertamento in punto di fatto insindacabile in sede di legittimità, correttamente la sentenza impugnata ha reso una congrua spiegazione del perché lo stato in cui versava l'imputato non escludesse l'elemento soggettivo del reato.
Le modalità della condotta, infatti, ossia il plateale sputo e calpestamento dell'ostia consacrata in un contesto nel quale, lo stato confusionale non era causato dai farmaci antidepressivi asseritamente assunti, "sono circostanze che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto esaustive per configurare la coscienza e volontà di vilipendere la confessione religiosa cattolica mediante il vilipendio di cose destinate al culto, essendo indubbio la ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie nel caso di danneggiamento di cose destinate necessariamente al culto o a questo consacrate".
Quanto al reato di turbatio sacrorum ex art. 405 c.p., lo stesso, secondo l'orientamento univoco della Cassazione, "può essere perfezionato da due condotte: l'impedimento della funzione, consistente nell'ostacolare l'inizio o l'esercizio della stessa fino a determinarne la cessazione, oppure la turbativa della funzione, che si verifica quando il suo svolgimento non avviene in modo regolare (cfr., ex multis, Cass. n. 20739/2003).
E ciò è avvenuto nella fattispecie, considerato che la condotta dell'imputato, come emerso dagli atti di causa, aveva generato un tale "trambusto" tra i detenuti da causarne l'allontanamento e l'accompagnamento in cella. Nulla da fare neanche per l'applicazione della particolare tenuità del fatto, esclusa dalla sentenza di merito con una più che logica motivazione, sul rilievo ostativo della reiterazione della condotta e dei precedenti penali del ricorrente.
*a cura di Marina Crisafi