Società

Paesi black list, la Legge di Stabilità 2016 non salva le omissioni precedenti

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 24648 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

Per la violazione delle norme contabili nei rapporti con i paesi black list, le sanzioni pecuniarie restano in piedi per fatti anteriori al 2016. Il dato letterale della legge di stabilità 2016 (Legge 208/2015) che ha previsto l'abrogazione dell'obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei redditi delle spese e delle altre componenti negative derivanti da operazioni con imprese residenti o localizzate in Stati inseriti nella cosiddetta black list, esclude infatti l'abrogazione della relativa sanzione pecuniaria (articolo 8 comma 3-bis del Dlgs n. 471 del 1997) per gli anni anteriori. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 24648 depositata oggi, rigettando il ricorso di una Spa sanzionata dall'Agenzia delle entrate per 50mila euro, per omesse dichiarazioni nel 2007, che invocava il principio del favor rei.

La disciplina introdotta dalla legge n. 208 del 2015, nella lettura combinata dei commi 142, 144 e 143, prosegue la decisione, "impone una lettura della disciplina che per un verso dispone il venir meno dell'obbligo di separata indicazione in dichiarazione dei costi per operazioni commerciali con società sedenti in paesi a fiscalità privilegiata, per altro verso prevede che l'eliminazione del suddetto obbligo abbia decorrenza dall'anno d'imposta 2016". "Ciò innanzitutto esclude che il tenore della modifica introdotta con la legge di Stabilità 2016 abbia implicitamente abrogato la sanzione per gli anni anteriori". La norma dunque sancisce "semplicemente" la cessazione degli obblighi dichiarativi, precedentemente esistenti in materia, ma con espressa previsione della salvezza di quell'obbligo di condotta sino a tutto l'anno 2015. Ne consegue che anche le sanzioni per l'ipotesi di omessa dichiarazione devono considerarsi vigenti sino al 2015.

Persistendo l'obbligo di dichiarazione separata delle componenti passive di operazioni commerciali con società sedenti in Paesi compresi nella black list sino a tutto l'anno 2015, argomenta ancora la Sezione tributaria, "il silenzio legislativo sulle sanzioni depone a favore dell'applicabilità dell'art. 8 comma 3 bis del d.lgs. n. 471 cit. per le violazioni, formali, commesse nel 2007, e sino alla vigenza stessa di tale obbligo (2015)". Prevedere infatti, aggiunge la Corte, che l'obbligo dichiarativo permanga sino a tutto il 2015 "ed escludere la sanzione comminabile per la violazione di quel medesimo obbligo implicherebbe un salto logico, una scelta legislativa irrazionale, quale la prescrizione di permanenza di un obbligo, privo però di sanzione per l'ipotesi di sua mancata osservanza".

La novella infatti non ha semplicemente eliminato la sanzione, ma ha escluso una regola di condotta del contribuente, ritenendo tuttavia di fissare una data a partire dalla quale non doveva più darsi indicazione separata delle componenti passive sostenute per quelle specifiche operazioni commerciali. Dunque è proprio l'oggetto della disciplina, il venir meno dell'obbligo della separata indicazione in dichiarazione a partire da un dato momento, ossia dal 2016, ad escludere in radice nel caso di specie l'applicabilità del principio del favor rei.

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