Penale

Patteggiamento, l’azione penale della procura europea non impone regole diverse al rito

Il consenso della parte alla pattuizione della pena comporta la rinuncia ad alcune prerogative difensive che non possono essere motivo di impugnazione solo perché la richiesta di rinvio a giudizio promana dall’Eppo

di Paola Rossi

Un ente non profit chiamato a rispondere della responsabilità “231” per il profitto conseguito a seguito di sovvenzioni ottenute in base a un programma Ue non può lamentare la violazione dei propri diritti di difesa e di essere sentiti - come previsto dalla Carta europea dei diritti fondamentali o dalla Cedu - dopo aver patteggiato la pena. E non può neanche contestare la non qualificabilità come profitto illecito di quanto ottenuto e rimasto nelle proprie casse se ha appunto aderito al rito alternativo a quello ordinario attraverso una corretta espressione della propria volontà a procedervi. Infatti, è proprio dei riti alternativi più celeri il fatto che la parte con la propria libera scelta rinunci a contestare le accuse. Il patteggiamento esclude, quindi, che sia ricorribile per cassazione il provvedimento che traduce l’accordo in decisione se non per motivi determinati quali la violazione dell’accordo stesso o l’illegalità della pena in esso contemplata.

Per tali motivi la Cassazione penale - con la sentenza n. 14835/2025 - ha rigettato le lamentele contro la sanzione pecuniaria comminata all’ente imputato dell’illecito amministrativo di cui agli articoli 5 e 24 del Dlgs 231/2001 in relazione al delitto presupposto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazione pubbliche (articoli 110 e 640-bis del Codice penale), che col ricorso per cassazione pretendeva di far rilevare vizi della decisione di patteggiamento per violazione, tanto delle norme regolamentari Ue per affermare l’assenza dell’illecito profitto e quindi della mancata consumazione della truffa c0ntestata, quanto delle norme sovranazionali (unionali e Cedu) sul diritto a essere sentiti in caso di esercizio dell’azione penale (anche europea, come nel caso specifico) e sull’esercizio dei diritti di difesa. Il ricorso chiedeva in effetti ai giudici di legittimità di esercitare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea affinché essa potesse acclarare la violazione dei diritti suddetti in quanto la Camera permanente della procura europea aveva adottato il parere favorevole sulla richiesta del procuratore europeo delegato in Italia di procedere all’esercizio dell’azione penale nei confronti della ricorrente senza che questa avesse avuto la possibilità di un’interlocuzione con le autorità competenti nel processo.

Interlocuzione che la Cassazione esclude come dovuta proprio per l’avvenuta scelta di procedere alla definizione del procedimento con un rito semplificato e più celere di quello ordinario, con sottintesa rinuncia a contestare le accuse e a esercitare tutte le prerogative connesse a un pieno esercizio del diritto di difesa (compreso quello di essere sentiti a fronte del potere del procuratore, che sia quello europeo o un Pm nazionale). Rinunce che consapevolmente la parte oggetto dell’imputazione fa a fronte di consistenti sconti di pena.

E come spiega la Cassazione si tratta di rinunce difensive adottate dal Legislatore italiano in base a precise norme Ue che hanno sollecitato gli Stati membri ad adottare riti di più rapida definizione dei processi con relativi contrappesi sull’entità della pena da comminare che viene ridotta per il risparmio di mezzi e risorse della macchina della giustizia in caso di loro applicazione.

Infine, la Suprema Corte respinge il vizio lamentato del parere fornito dalla Camera permanente al procuratore europeo sollecitato da quello delegato per procedere all’esercizio dell’azione penale contro l’ente ricorrente. Spiega. infatti la Cassazione penale, che in caso sia la Procura europea coinvolta, la richiesta di patteggiare la pena comporta le medesime conseguenze di quando l’azione è promossa dal pubblico ministero nazionale.

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