Perché gli avvocati devono iniziare a conoscere le neurotecnologie
Proprio come l’IA, l’industria neurotech avrà un impatto su moltissimi ambiti del diritto. Ma, prima di tutto, lo avrà su cosa significhi essere un bravo avvocato e un essere umano «intelligente» in un’epoca in cui l’intelligenza è gratuita
INTRODUZIONE
(di Nicoletta F. Prandi)
La pratica legale è guidata dalla teoria dei giochi ma...cosa succede se interviene un nuovo fattore a sconvolgere il sistema in modo strutturale? Potrebbe essere il primo avvocato a usare il potenziamento cognitivo per lavorare in modo più veloce ed efficace. O una controversia riguardante un’azienda che ha fatto ricorso all’uso di neurodati per elargire promozioni o per comminare sanzioni disciplinari. Cosa prevede il diritto del lavoro, in questo caso?
Mentre la maggior parte delle persone si concentrava sui progressi dell’intelligenza artificiale, l’industria delle neurotecnologie avanzava inarrestabile, lambendo tutti gli ambiti del diritto.
In questo articolo Harry Lambert spiega perché gli avvocati, indipendentemente dalla propria specializzazione, debbano aggiornarsi sulle implicazioni legali derivanti dalle applicazioni neurotech. Lo fa attraverso una rassegna di esempi concreti, che esplorano i rischi di discriminazione delle persone neurodivergenti, i diritti umani, le responsabilità da prodotto difettoso, le lesioni personali e molto altro.
PERCHÉ GLI AVVOCATI DEVONO INIZIARE A CONOSCERE LE NEUROTECNOLOGIE
(di Harry Lambert)
Da quando ho inaugurato The Center for Neurotechnology and Law, nel 2024, ho notato che molti avvocati considerano le neurotecnologie come qualcosa che:
1) ha a che fare con il futuro ma non con la contemporaneità
2) non ha attinenza specifica con la loro pratica professionale.
Come ho dimostrato nel primo articolo di questa serie, il punto 1 è errato. Le capacità delle applicazioni neurotecnologiche, che solo cinque o dieci anni fa sembravano esclusivo appannaggio della fantascienza, ora sono diffuse e si stanno facendo strada nelle nostre vite. E l’obiettivo di questo articolo è dimostrare che anche il punto 2 è falso.
Le neurotecnologie interessano sia ampie aree del diritto sostanziale, sia la pratica legale nel suo complesso. Di seguito illustro le aree del diritto più direttamente coinvolte e nei prossimi articoli approfondirò le implicazioni specifiche per ciascuna di esse.
PRIVACY E PROTEZIONE DEI DATI
Lo scorso anno Apple ha brevettato delle cuffie Air Pod dotate di sensori per effettuare un EEG (elettroencefalogramma). Registrano le onde cerebrali di chi le indossa, ovvero una mole di dati dalla quale si possono ricavare parecchie altre informazioni. Iniziamo a considerare quelle sanitarie, spesso ritenute tra le più sensibili.
Alla velocità della luce, nella notte, Apple saprà se chi indossa le cuffie è un soggetto depresso o ansioso, se soffre di ADHD o di schizofrenia, se nel suo cervello si sta sviluppando un neuroblastoma o se è nelle prime fasi dell’Alzheimer (opzioni, queste ultime due, delle quali l’utente in oggetto potrebbe non essere nemmeno consapevole).
E che cosa dire sui dati che riguardano le emozioni?
Apple saprà se e quando sei stressato, esausto, eccitato, entusiasta o spaventato. Saprà persino se stai mentendo quando dichiari di amare il flan di broccoli preparato a mano da qualcuno. Saprà se stai bluffando quando dici all’agente immobiliare che un rialzo del 5% è davvero la tua ultima offerta e anche quando dici al tuo capo che sei arrivato in ritardo perché c’era un traffico terribile.
Ti fa piacere che Apple – o un’altra azienda tecnologica – sappia tutto questo?
Oltre all’EEG, la prossima novità sarà molto probabilmente quella dei device indossabili che funzionano con gli infrarossi. Questa tecnologia sfrutta il fatto che la luce infrarossa viene assorbita dall’ossiemoglobina e dalla deossiemoglobina molto di più rispetto ai tessuti circostanti e sovrastanti. Combina l’accuratezza della risonanza magnetica funzionale (fMRI) con l’applicazione in tempo reale dell’EEG. La NIRS (Near Infrared Spectroscopy) è un esempio di neurotecnologia non invasiva. Il potenziale di tecnologie più invasive perché impiantate (come Neuralink di Elon Musk), poi, è ancora più evidente.
Ci sono riflessioni urgenti e importanti da fare sulla privacy: non da ultimo, chi dovrebbe avere accesso ai dati, in quali circostanze, per quale scopo e per quanto tempo.
Che dire, invece, sulle altre aree del diritto?
DIRITTO PENALE
Nell’articolo precedente ho esaminato in che modo i potenziali cerebrali correlati agli eventi possano essere usati per «analizzare» la memoria e come siano già stati impiegati per risolvere un caso di omicidio irrisolto. Negli Stati Uniti James Grinder è stato condannato a morte sulla base della scansione delle sue onde cerebrali.
Quindi, come si collega tutto ciò al privilegio contro l’auto-incriminazione? La polizia, come nei casi dei test stradali per il consumo di alcool, dovrebbe essere autorizzata a trarre conclusioni negative sul tuo conto se ti rifiutassi di sottoporti a un EEG non invasivo? E se, facendotelo, trovassero altre informazioni su altri reati che hai commesso, dovremmo considerarli i frutti di quest’albero avvelenato? E se i dati del mio cervello rivelassero che sono in procinto di commettere un reato, dovrei essere arrestato per i miei pensieri, come in Minority Report? E se la neurostimolazione, il nudging, potesse convincermi a non farlo? Questa manipolazione potrebbe davvero fermarmi con la forza? La tua risposta cambia se il reato in questione è di matrice terroristica? E perché preoccuparsi di cauzioni o di libertà vigilata quando si può capire subito dai neurodati se una persona è sotto l’effetto di droghe, di alcool, o è particolarmente aggressivo?
Forse le autorità potrebbero anche dare una piccola scossa elettrica a qualcuno se si trova dove non dovrebbe essere.
Sollevo tutte queste domande senza risposte e lo faccio senza vergogna perché vanno risolte con coscienza oggi, non domani. Questo tipo di tecnologia è già tra noi, non arriverà tra cinque o dieci anni.
DIRITTO DEL LAVORO
Durante la pandemia da Covid 19 la sorveglianza dei lavoratori è diventata una questione dibattuta, con i datori di lavoro che controllavano quanto tempo i lavoratori spendevano alle proprie scrivanie in smart working e quali siti web visitavano. La questione sta per affrontare un salto di livello, con i datori di lavoro oggi in grado di raccogliere una serie di ulteriori informazioni sui lavoratori attraverso l’EEG. Nel primo articolo ho raccontato di SmartCap Technologies, le cui cuffie assicurano che i macchinisti dei treni o gli autisti di veicoli a lunghe percorrenze non cadano preda della stanchezza.
Cosa accade se spostiamo lo stesso scenario agli uffici?
Vorresti che il tuo capo sapesse se stanno nascendo delle relazioni amorose tra colleghi (Nita Farahany, The battle for your brain, 2023, pag. 61)? Ancora una volta dobbiamo ricordarci che tali questioni sono correlate alla tecnologia indossabile.
Nel momento in cui iniziamo a usare le interfacce cervello-computer (BCIs) per digitare sulla tastiera o usare il mouse, le informazioni svelate dal nostro cervello si ampliano a dismisura.
Inoltre, c’è la questione sindacale. Nel 2019 i lavoratori di Google hanno accusato la dirigenza di provare a contenere le proteste segnalando i dipendenti che organizzavano eventi con più di 100 partecipanti. Con le neurotecnologie, sarebbe molto più facile stroncare sul nascere qualsiasi velleità di sciopero o di picchetto monitorando la crescente sintonia cerebrale dei lavoratori (vd. Farahany, pag. 62).
In effetti, un datore di lavoro potrebbe scoprire di più sui propri dipendenti sondando il subconscio con test A/B. Vuoi sapere se un tuo dipendente 1. Odia te o il suo lavoro 2. È razzista? 3. Supporta Trump? È già stato fatto e l’esempio probabilmente più sconvolgente è il titolo sinistro dello studio di Frank e altri Using EEG based BCI devices to subliminally probe for private information, pubblicato nell’ottobre del 2017. Il documento conclude: «dimostriamo sperimentalmente per la prima volta la fattibilità di attacchi subliminali su dispositivi BCI basati su EEG».
INCLUSIVITÀ E DISCRIMINAZIONE
Come ho spiegato, l’alba delle neurotecnologie vede, tra le applicazioni più diffuse, il monitoraggio cerebrale degli autisti. Eppure, anche se all’apparenza tutto ciò è ineccepibile, non è così nella sostanza. In qualità di padre di tre figli, tra cui uno di 18 mesi che non dorme ancora tutta la notte, sono perennemente stanco! È la mia «nuova normalità». Sono sicuro che, se fossi un macchinista della linea Pechino-Shangai, sarei rispedito a casa e in fretta. Forse è una buona cosa, ma che succederebbe a me e ad altri padri di famiglia? E se volessi bere un drink, una sera? Il mio datore di lavoro deve separare la stanchezza che deriva da un diritto tutelato da tutto il resto?
C’è un delicato esercizio di bilanciamento dei diritti che ci chiama con urgenza. Molti lettori conoscono le problematiche legate ai bias (pregiudizi) degli algoritmi di intelligenza artificiale.
Ecco, gli stessi identici problemi si pongono anche per le neurotecnologie. Gli algoritmi sono indispensabili per il funzionamento delle interfacce cervello-computer, dall’elaborazione dei dati alla raccolta dei segnali fino al riconoscimento di modelli.
Consideriamo l’elaborazione dei segnali. Gli algoritmi sono usati per elaborare e per estrarre da dati grezzi informazioni dotate di significato (i dati grezzi sono raccolti da tecniche di neuroimaging come EEG, fMRI, ECG).
Cosa accade per le persone neurodivergenti?
Quelle con autismo o ADHD sono le più vulnerabili ai pregiudizi delle neurotecnologie.
Le loro caratteristiche neurologiche uniche possono essere male interpretate, portando a interpretazioni distorte e trattamenti ingiusti. Servono misure di salvaguardia per assicurarci che le persone neurodivergenti non siano discriminate a causa del modo diverso in cui funziona il loro cervello. I datori di lavoro, dunque, devono essere attenti nell’evitare discriminazioni quando utilizzano dati cerebrali per il recruiting, per elargire promozioni o per intentare azioni a scopo disciplinare.
Dovrebbero stabilire politiche e linee guida trasparenti per proteggere la privacy dei lavoratori e prevenire l’uso improprio di neurodati nell’ambito delle risorse umane.
Dovrebbero anche considerare il diritto di contestare le inferenze o di fornire audit aperti, ad esempio check and balance sull’uso dei dati.
DIRITTI UMANI
Molte delle questioni sopra descritte potrebbero essere legittimamente ricondotte al quadro generale delle libertà civili. Eppure, alcune questioni toccano istanze più «incontaminate» di altre. Ad esempio, dovremmo avere il diritto di cancellare o di attenuare i ricordi dolorosi? Perché è già possibile farlo.
Le neurotecnologie dovrebbero essere ammesse negli interrogatori di polizia? In che modo la legge preserverà il nostro libero arbitrio proteggendoci dal nudging (neurotecnologie che influenzano il comportamento)? E come dovrebbe funzionare il consenso per gli impianti a lungo termine come le BCI (Brain-Computer Interfaces), soprattutto quando diventa difficile stabilire dove finisca il prodotto e inizi l’io?
Non pretendo di avere le risposte a queste domande.
RESPONSABILITÀ DA PRODOTTO DIFETTOSO E REGOLAMENTI
Proprio come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’Europa del dopoguerra, la maggior parte delle normative sui prodotti è stata redatta (anche se in tempi più recenti) in un’epoca in cui la tecnologia di lettura del pensiero sembrava inverosimilmente distopica. Gli attuali quadri normativi non sono stati concepiti per gestire le sfumature e le complessità dell’intervento neurale.
Nel Regno Unito, i dispositivi medici sono soggetti al rigido ma poco mirato regime del Medical Devices Regulations 2002 (SI 2002/618). Se questo sia o non sia adatto allo scopo, è ancora un punto controverso.
Tuttavia, la maggior parte delle applicazioni neurotech che useremo quotidianamente, incluse quelle indossabili del prossimo AirPod di Apple o le BCI per giocare ai videogiochi, non sarà costituita da dispositivi medici. Sono quindi soggetti a una regolamentazione meno rigorosa.
Proprio come un tostapane o un microonde, rientrerebbero sotto l’ombrello del General Product Safety Regulations 2005 (SI 2005/1803). Ma un tostapane o un microonde non possono certo leggere i tuoi pensieri, rubare il tuo codice PIN o convincerti a votare Trump alle prossime elezioni.
Comprensibilmente, i Regolamenti sono più orientati verso i prodotti fisici fabbricati in modo tradizionale, e non appaiono attrezzati per occuparsi anche dei dati cerebrali. L’Information Commissioner’s Office sta esaminando attivamente la questione e ha annunciato un rapporto entro il 2025, ma fino ad allora non possiamo fare a meno di domandarci se, proprio come l’AI Act dell’UE, potremmo aver bisogno di una legislazione specifica per le neurotecnologie.
CAPACITÀ DI INTENDERE E DI VOLERE E LESIONI PERSONALI
Per tutto ciò che riguarda la capacità di intendere e di volere, ci aspettiamo che il diritto sostanziale sia meno coinvolto, ma gli avvocati dovranno comunque tenere il passo. Ad esempio, i pazienti con sindrome da locked-in possono comunicare i propri pensieri attraverso le neurotecnologie. Qualsiasi ricorrente che si trovi in queste condizioni dovrebbe includere i costi delle BCI nella sua richiesta di risarcimento? Esistono anche BCI che consentono il controllo di protesi robotiche tramite l’attività neurale, offrendo così agli utenti un’indipendenza senza precedenti.
È un diritto avere accesso a questa tecnologia? Le BCI possono anche prevenire le crisi epilettiche, con soluzioni all’avanguardia nel recupero da lesioni cerebrali traumatiche, ictus e malattia di Parkinson. Gli impianti cocleari, nel frattempo, hanno già restituito l’udito a centinaia di migliaia di individui sordi e gli impianti retinici stanno iniziando a restituire la vista ai ciechi. All’orizzonte ci sono applicazioni ancora più avanzate, che potrebbero consentire nuovi trattamenti per la depressione, il disturbo da stress post-traumatico e l’Alzheimer attraverso la modulazione mirata e personalizzata dei circuiti neurali.
Le neurotecnologie non sono un volo pindarico, ma qualcosa rispetto al quale tutti gli avvocati specializzati in danni personali dovrebbero tenersi aggiornati per agire al meglio e nell’interesse dei propri clienti.
«SUPERAVVOCATI»
Se non eserciti in nessuno di questi ambiti ma, ad esempio, ti occupi di diritto tributario o marittimo, allora: (a) povero te; e (b) non te la caverai comunque.
Anche se le neurotecnologie non hanno un impatto immediato sul tuo settore, rivoluzioneranno la pratica legale in generale, allo stesso modo dell’intelligenza artificiale e forse anche di più. Ad esempio, gli avvocati le possono utilizzare per migliorare le loro funzioni cognitive e le loro prestazioni in vari modi.
Non sto parlando di tecnologia impiantabile ma di prodotti indossabili e non invasivi che sono già disponibili e che offrono allenamento cognitivo, stimolazione cerebrale non invasiva o neurofeedback.
E infine arriviamo agli esseri umani aumentati grazie alle BCI. Nel nostro mercato basato sulla teoria dei giochi, una volta che un avvocato di uno studio inizia a usare questa tecnologia e a raccogliere i frutti di un lavoro più economico, più veloce e più efficace, potrebbe essere sempre più complicato per i competitor che si affidano solo ai propri talenti «naturali».
In sintesi, mentre la maggior parte delle persone si concentrava sull’intelligenza artificiale l’industria neurotech avanzava inarrestabile.
Proprio come l’IA, avrà un impatto su moltissimi ambiti del diritto. Ma, prima di tutto, lo avrà su cosa significhi essere un bravo avvocato e un essere umano «intelligente» in un’epoca in cui l’intelligenza è gratuita.
C’è una bellissima citazione del biologo americano Edward O. Wilson. Dice che «l’umanità è caratterizzata da emozioni paleolitiche, istituzioni medioevali e tecnologie divine».
I prossimi anni determineranno il modo in cui le neurotecnologie si intrecceranno alla nostra vita quotidiana. Quindi spetta a tutti noi avvocati, nei nostri singoli ambiti di pratica e collettivamente, contribuire a far evolvere le nostre istituzioni e assicurarci che l’uso di queste applicazioni migliori le nostre vite invece di sminuirle.
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*Fabrizio Ventimiglia, avvocato, Presidente Centro Studi Borgogna, Founder Studio legale Ventimiglia, Nicoletta Prandi, Giornalista ed Autrice, Prof. Harry Lambert, avvocato presso Crown Office Chambers, fondatore di The Center for Neurotechnology & Law e di Cerebralink