Pericolosità sociale: no alla misura più grave senza nuovi reati
Il giudice nel riesaminare la persistenza della pericolosità sociale non può sostituire la libertà vigilata con la più grave misura dell'assegnazione alla casa lavoro, a meno che non ci sia una condanna, anche non definitiva, per reati commessi nel corso della libertà vigilata. L'unica possibilità, se la pericolosità è ancora accertata, è quella di prolungare la durata del provvedimento già adottato. La Corte di cassazione, con la sentenza 39941, esclude la possibilità di inasprire la misura di sicurezza solo in virtù di una concreta e attuale pericolosità sociale, che il giudice considera non contenibile con la misura attenuata già applicata. I giudici della prima sezione penale accolgono così il ricorso di un condannato per omicidio pluriaggravato al quale il Tribunale di sorveglianza aveva applicato una misura più restrittiva ritenendo inadeguata la prima, e non considerando di ostacolo all'inasprimento, né l'età del ricorrente né le condizioni di salute compromesse, visto che i due fattori non gli avevano impedito di commettere il crimine per il quale era stato condannato. La Cassazione però annulla senza rinvio l'ordinanza considerandola illegittima. La possibilità del giro di vite non è possibile neppure in caso di condanna sopravvenuta se questa si riferisce a reati commessi prima dell'esecuzione della libertà vigilata. Gli elementi utilizzabili al fine di un giudizio di accresciuta pericolosità, ai fini di una misura più grave della libertà vigilata, non possono che essere (articolo 199 del Codice penale) quelli previsti dalla legge e, in particolare quelli indicati dall'articolo 231 del Codice penale. La commissione di reati durante l'espiazione della misura è, infatti, equiparabile alla trasgressione degli obblighi imposti.
Corte di cassazione – Sezione I – Sentenza 5 settembre 2018 n.39941