Penale

Permessi donazione di sangue, truffa e falso per il dipendente che si assenta senza donare

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di Andrea Alberto Moramarco

Commette il reato di truffa aggravata e di falsità materiale in certificati amministrativi il dipendente pubblico che per più giornate lavorative usufruisce di permessi retribuiti per effettuare donazioni di sangue presso la Asl, in realtà mai avvenute, attestate da certificati integralmente falsi. Questo è quanto afferma la Cassazione con la sentenza n. 3439, depositata ieri.
Protagonista della vicenda è un dipendente della Sovraintendenza per i Beni architettonici, paesaggistici e storico-artistici delle Province di Sassari e Nuoro, il quale per due volte attestava falsamente di aver donato il sangue presso la Asl, al fine di usufruire dei permessi retribuiti. Scoperto l'inganno, il dipendente veniva processato e condannato in primo grado con giudizio abbreviato per truffa aggravata ex articolo 640 comma 2 del codice penale, reato al quale in appello si aggiungeva anche il delitto di falso materiale in certificati amministrativi ex articoli 477 e 482 del codice penale, per una pena complessiva di 1 anno, 6 mesi di reclusione e 500 euro di multa.
Il lavoratore si rivolgeva così in Cassazione contestando sia il primo reato a lui ascritto che quello successivamente addebitatogli, nonché il trattamento sanzionatorio complessivo irrogato. I giudici di legittimità con la sentenza di ieri hanno però confermato la fondatezza della accusa dichiarando irrevocabile il giudizio di responsabilità pervenuto per entrambi i delitti contestati. Tuttavia, nella fattispecie secondo il Collegio non sono state rispettate le regole processuali e sostanziali in ordine alla quantificazione della pena. I giudici di appello non hanno, infatti, applicato correttamente né le norme sulla continuazione dei reati, né quelle relative allo sconto di pena per il rito speciale scelto. Pertanto, fermo restando la configurabilità dei reati di truffa e falsità materiale, saranno nuovamente i giudici di merito a determinare il giusto trattamento sanzionatorio.

Corte di cassazione - Sezione II penale - Sentenza 28 gennaio 2020 n. 3439

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