Civile

Pignoramento dei beni conferiti in fondo patrimoniale - Le ultime statuizioni della Cassazione sul regime probatorio

Il fondo patrimoniale (convenzione matrimoniale introdotta con la Riforma del Diritto di Famiglia del 1975) ha visto sin dalla sua introduzione e costantemente negli anni, di fatto, disattesa l'originaria finalità tendente ad assicurare la prosperità di una famiglia che sorge e finalizzata quindi a provvedere ai bisogni dei figli per un periodo di tempo non preventivamente determinabile, in favore di un uso strumentale, primariamente indirizzato a proteggere il patrimonio dalle pretese dei creditori

di Francesco Baglieri*


Il fondo patrimoniale (convenzione matrimoniale introdotta con la Riforma del Diritto di Famiglia del 1975) ha visto sin dalla sua introduzione e costantemente negli anni, di fatto, disattesa l'originaria finalità tendente ad assicurare la prosperità di una famiglia che sorge e finalizzata quindi a provvedere ai bisogni dei figli per un periodo di tempo non preventivamente determinabile, in favore di un uso strumentale, primariamente indirizzato a proteggere il patrimonio dalle pretese dei creditori.

Infatti, la quasi totalità delle pronunce su tale regime patrimoniale integrativo ha ad oggetto le domande di revocatoria spiegate dai creditori ovvero dal curatore fallimentare dell'atto costitutivo del fondo, a conferma di un'utilizzazione del fondo patrimoniale, quantomeno in via prevalente, da parte dei debitori, finalizzata a sottrarre ai creditori la garanzia patrimoniale generica costituita dal loro patrimonio.

A fronte del suddetto invalso abuso della convenzione in esame, la Giurisprudenza ha negli anni adottato un approccio interpretativo rigoroso in riferimento al vincolo d'inespropriabilità statuito dall'art. 170 c.c., in virtù del quale l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di esso non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

È proprio la sussistenza di tale nesso tra la fonte obbligatoria e i bisogni della famiglia che legittima il creditore ad aggredire direttamente i cespiti patrimoniali conferiti nel fondo, senza dover previamente agire in revocatoria al fine di accertare l'inopponibilità del vincolo di destinazione.

Ebbene, alla luce della tesi diffusa nella giurisprudenza di legittimità prevalente - peraltro largamente recepita dalla giurisprudenza di merito - le obbligazioni, pure se contratte per scopi professionali o comunque inerenti l'attività professionale di uno dei coniugi, ove detta attività rappresenti la fonte essenziale di reddito del nucleo familiare, devono comunque ritenersi indirettamente stipulate per il sostentamento della famiglia.

Così, già con l'arresto della Cassazione Civile n. 11230 del 2003 – nell'ambito della problematica inerente la rilevanza o meno della fonte (ex contractu o ex delictu) dell'obbligazione – ha statuito come il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo, va ricercato non già nella natura delle obbligazioni ("ex contractu" o "ex delicto"), bensì nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che, ove la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio, ancorché consistente in un fatto illecito, abbiano inerenza diretta ed immediata con le esigenze familiari, deve ritenersi operante la regola della piena responsabilità del fondo.

Mentre più di recente anche un debito tributario, sorto per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, è stato ritenuto contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (Cass. Civ. 3738/2015).

L'onere della prova circa la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c. grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale. Per cui nel caso dell'opposizione proposta dal debitore avverso l'esecuzione avente ad oggetto tali beni, al fine di contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente ex art. 615 c.p.c., tale onere grava sul debitore opponente, che deve provare non soltanto la regolare costituzione del fondo patrimoniale (e il corretto adempimento delle formalità pubblicitarie: ovvero l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio ai fini dell'opponibilità nei confronti del creditore pignorante), ma anche che il debito per cui si procede fu originariamente contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Si tratta di prova che, sulla base dei principi generali, può essere fornita anche avvalendosi di presunzioni ai sensi dell'art. 2729 c.c., gravando, comunque, sull'opponente l'onere di allegare e dimostrare i fatti noti, da cui desumere, in via presuntiva, i fatti oggetto di prova.

Quanto al criterio identificativo dei crediti che, essendo stati contratti per fare fronte ai bisogni della famiglia, possono essere soddisfatti anche in via esecutiva, la Giurisprudenza maggioritaria ha più volte ritenuto il principio di diritto in base al quale, in tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell'art. 170 c.c. va inteso non in senso restrittivo, vale a dire con riferimento alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì nel senso di ricomprendere in tali bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi", (così già Cass. Civ. 7.1.1984 n. 134, seguita da Cass. Civ. 18.9.2001 n.11683; Cass. Civ. 30.5.2007 n. 12730; Cass. Civ. 7.7.2009 n. 15862; Cass. Civ. 19.2.2013 n. 4011; cfr. successivamente anche Cass. Civ. 7521/2016; Cass. Civ. 22761/2016).

Si segnala però, come nel più recente arresto della Cassazione dell'8.02.2021 (n. 2904) sia stato (si ritiene) sottoposto a diversa interpretazione il criterio presuntivo di inerenza tra i debiti contratti nell'esercizio di un'attività d'impresa e i bisogni della famiglia.

Sebbene la Corte di legittimità abbia in seno alle premesse della parte in diritto ribadito la suddetta direttrice interpretativa in base alla quale i bisogni della famiglia debbono essere intesi in senso lato (non limitatamente cioè alle necessità c.d. essenziali o indispensabili della famiglia ma avendo più ampiamente riguardo a quanto necessario e funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare secondo il relativo indirizzo) la stessa Sezione III ha altresì specificato, con particolare riferimento ai debiti derivanti dall'attività professionale o d'impresa di uno dei coniugi, che se anche la circostanza che il debito sia sorto nell'ambito dell'impresa o dell'attività professionale non sia di per sé idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia, risponderebbe cionondimeno a nozione di comune esperienza che le obbligazioni assunte nell'esercizio dell'attività d'impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia.

Sul punto la Corte sembrerebbe pertanto aver mutato indirizzo rispetto alle precedenti pronunce, ove si era rimarcata la sussistenza di una presunzione relativa d'inerenza tra i debiti contratti nell'ambito di un'attività professionale o d'impresa di uno dei coniugi ed i bisogni della famiglia.

Nel summenzionato arresto è stato peraltro ritenuto necessario l'accertamento da parte del giudice di merito della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi, avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto.

La Corte sembrerebbe aver "ammorbidito" (dal lato del debitore) la presunzione d'inerenza o funzionalità del debito "professionale" o "imprenditoriale" ai bisogni della famiglia, ritenendo come, sebbene il vincolo d'inespropriabilità operi esclusivamente nei confronti dei creditori consapevoli che l'obbligazione sia stata contratta non già per far fronte ai bisogni della famiglia ma per altra e diversa finalità alla famiglia estranea, la prova dell'estraneità e della consapevolezza in argomento potrebbe essere fornita dal debitore (solitamente nell'abito di un'opposizione all'esecuzione) anche per presunzioni semplici, risultando pertanto sufficiente provare che lo scopo dell'obbligazione apparisse al momento della relativa assunzione come estraneo ai bisogni della famiglia.

* a cura dell'avv. Francesco Baglieri

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©