Casi pratici

Pignoramento pensioni: la novella del 2022

di Laura Biarella

la QUESTIONE
Come è congegnato il regime di pignorabilità di stipendi e pensioni? Quali sono stati gli interventi più significativi di legislatore e giurisprudenza? In che consiste la novella introdotta dal decreto cd. Aiuti bis del 2022?

L'inquadramento della tematica
Il differente regime normativo esistente in materia di pignoramento, sequestro e cessione delle retribuzioni e delle pensioni dei dipendenti privati e pubblici ha costituito oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinale negli ultimi cinquanta anni.
La legge finanziaria per il 2005 parificava a livello legislativo il regime tra pubblico impiego e privato in materia di pignorabilità, sequestrabilità e cessione delle retribuzioni.
La regolamentazione dettata per i dipendenti pubblici dagli artt. 1 ss. del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, in materia di sequestro, pignoramento e cessione delle retribuzioni e delle pensioni e più in generale, degli emolumenti corrisposti a qualsiasi titolo in relazione al rapporto di lavoro è stata estesa in virtù dell'art. 1, comma 137, lett. a) della legge n. 311/2005 ai lavoratori privati. In particolare, i divieti e i limiti al sequestro, al pignoramento e cessione delle somme percepite a titolo di retribuzione o pensionistico dei pubblici dipendenti venivano estesi anche ai dipendenti delle "aziende private".
La legge n. 311/2004 costituiva il giusto epilogo di un processo di parificazione già iniziato con l'intervento della Corte Costituzionale che, proprio in relazione al principio di eguaglianza, aveva di fatto eliminato il trattamento più favorevole previsto per i dipendenti pubblici. Tuttavia la disciplina, emendata dalle più vistose antinomie per effetto degli interventi additivi della Corte Costituzionale, non era stata da questi interventi globalmente e necessariamente orientata verso la totale parificazione con quella del settore privato.

Il mutamento della disciplina nel corso dei decenni
Per comprendere rettamente la rilevanza degli interventi legislativi, è opportuno ripercorrere per brevissimi cenni le vicende che hanno visto il mutamento del regime di espropriabilità delle retribuzioni e delle pensioni erogate ai dipendenti.
Il principio di responsabilità stabilito dall'art. 2740 c.c., in virtù del quale il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, subisce delle limitazioni, solo nei casi stabiliti dalla legge, determinate da una valutazione di opportunità e di contemperamento delle esigenze del creditore e del debitore esecutato.
Le somme dovute in ragione del rapporto di lavoro o di impiego sono beni relativamente impignorabili ovvero soggiacciono solo ai limiti di pignorabilità stabiliti dall'art. 545 c.p.c. e dall'art. 2 del Testo Unico n. 180 del 1950.
Ed invero la parziale pignorabilità degli stipendi, salari ed altre indennità relative al rapporto di lavoro privato, prevista dall'art. 545 c.p.c. in considerazione della natura di tali crediti, rinviene la sua giustificazione nell'esigenza di non pregiudicare la soddisfazione dei più elementari bisogni della vita del debitore e delle altre persone poste a suo carico. In proposito la Corte Costituzionale con sentenza 29 maggio 2002, n. 225 ha statuito: «l'articolo 545 c.p.c. prevede che taluni crediti non possono essere pignorati al fine di garantire alcune esigenze primarie. Questa norma va inquadrata nell'ambito del processo di esecuzione, all'interno del quale tende a garantire i contrapposti interessi di creditore e debitore, senza peraltro trascurare le esigenze della parte più debole del rapporto obbligatorio, cioè il debitore». Tra l'altro, proprio in quanto intesa a tutelare la fonte esclusiva di reddito del lavoratore subordinato, la parziale impignorabilità non è suscettibile di interpretazione analogica.
Per quanto riguarda il pignoramento dello stipendio, TFR, buonuscita, pensione ed altri emolumenti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, la normativa di riferimento è quella del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180. Sennonché per espressa previsione del citato testo unico tali somme erano pignorabili fino ad un terzo solo per alimenti dovuti per legge, fino ad un quinto per tributi dovuti allo Stato, province e comuni nonché per debiti verso lo Stato o verso gli enti da cui il debitore dipende, mentre erano impignorabili per debiti di altra natura con evidente disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti privati per i quali l'art. 545, comma 4, c.p.c. prevede la pignorabilità delle retribuzioni entro il limite di un quinto per qualunque debito. Tale disparità non è stata riconosciuta lesiva del principio di uguaglianza per lungo tempo da parte della Corte Costituzionale.

L'intervento del d.l. aiuti bis del 2022
Il comma 7 dell'art. 545 c.p.c. è stato oggetto dapprima di un intervento del 2015, che aveva posto un limite alla pignorabilità, corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà, quindi specificando che la parte eccedente detto ammontare risultasse pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma del medesimo articolo, nonché dalle speciali disposizioni di legge.". In seguito, il testo è stato sostituito dall'art. 21 bis, D.L. 09 agosto 2022, n. 115, così come inserito dall'allegato alla legge di conversione, L. 21 settembre 2022, n. 142, con decorrenza dal 22 settembre 2022. Pertanto, in virtù di tale novella: "Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge". In dettaglio, l'articolo 21-bis del decreto cd. Aiuti bis, rubricato "Modifiche al limite di impignorabilità delle pensioni", aveva evidenziato l'intervento sul limite alla pignorabilità delle somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, e nei lavori parlamentari si era rilevato che la previgente formulazione del comma VII dell'articolo 545 c.p.c. prevedesse che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non potessero essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà, al contempo chiarendo che la parte eccedente tale ammontare risultasse pignorabile nei limiti previsti dal 3°, 4° e 5° co. nonché dalle speciali disposizioni di legge. L'articolo 21 bis ha quindi elevato la soglia di impignorabilità, prevedendo che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1000,00 euro. L'assegno sociale è un contributo economico di natura assistenziale erogato dall'INPS a tutti coloro che si trovano in condizioni economiche disagiate. Viene elargita dall'Istituto, senza che sia necessario il versamento di alcun contributo, per un importo che viene adeguato di anno in anno in base alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Nel 2022 l'Assegno sociale INPS, nella sua misura piena, ammonta a 468,11 euro al mese, erogato per 13 mensilità. La novella intercorsa sull'articolo 545 c.p.c. non modifica l'ottavo comma dello stesso articolo, con la conseguenza che resta dunque fermo che, per le somme accreditate, in relazione ad uno dei trattamenti summenzionati, su conto bancario o postale (intestato al debitore) in data antecedente al pignoramento (anziché nella stessa data o in data successiva), l'esclusione dal medesimo pignoramento è riconosciuta per una fascia di importo più elevata, pari al triplo dell'assegno sociale. Inoltre, ai sensi del nono comma del medesimo articolo 545 c.p.c., il pignoramento eseguito sulle somme oggetto dello stesso articolo in violazione dei divieti e dei limiti previsti dal medesimo e dalle speciali disposizioni di legge è (parzialmente o totalmente) inefficace, e tale inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio.

Cosa resta inalterato dopo la novella del 2022
La legge di conversione del decreto cd. Aiuti-bis non ha alterato e, per l'effetto, continueranno ad applicarsi anche a seguito dell'entrata in vigore della novella, le seguenti disposizioni:
• l'articolo 545 c.p.c., comma VIII il quale prevede che, in ipotesi di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, le somme anche a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza possono essere pignorate per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento. Quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o in seguito, le somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma dell'articolo 545 c.p.c., come anche dalle speciali disposizioni di legge;
• il comma IX dell'articolo 545 c.p.c., il quale dispone che il pignoramento eseguito in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dal medesimo e dalle speciali disposizioni di legge risulta parzialmente inefficace e l'inefficacia viene rilevata dal giudice anche d'ufficio.
Interventi della Corte Costituzionale
Tramite la sentenza n. 152 resa il 20 luglio 2020, la Corte Costituzionale non aveva accolto l'eccezione di inammissibilità, per richiesta di intervento manipolativo in materia connotata da discrezionalità del legislatore, formulata nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12, primo comma, della legge n. 118 del 1971 e dell'art. 38, comma 4, della legge n. 448 del 2001. Il rimettente, infatti, non contestava la discrezionalità del legislatore nell'individuazione delle misure oggetto di censura, ma denunciava, quanto alla prima disposizione, il superamento non valicabile del limite delle garanzie, essenziali e insopprimibili, dovute ai disabili, rappresentato dal minimo vitale; e, quanto alla seconda disposizione, non ne revocava in dubbio la pertinenza all'area della discrezionalità legislativa, ma chiedeva un controllo dell'esercizio di tale discrezionalità, nella prospettiva di una asserita manifesta irragionevolezza della scelta normativa che ne è conseguita. Pertanto, venne dichiarata inammissibile, per richiesta di pronuncia manipolativa implicante scelte discrezionali riservate al legislatore, in ordine all'individuazione della misura sostitutiva, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte d'appello di Torino, sez. lavoro, in riferimento agli artt. 3, 38, primo comma, 10, primo comma, e 117, primo comma, Cost., dell'art. 12, primo comma, della legge n. 118 del 1971, nella parte in cui attribuiva ai mutilati ed invalidi civili di età superiore agli anni 18, nei cui confronti sia accertata una totale inabilità lavorativa, una pensione di inabilità pari, nell'anno 2020, ad euro 286,81 mensili. Sebbene tale importo, anche sulla base della comparazione con quelli riconosciuti per altre provvidenze avvinte da analoga matrice assistenziale, fosse innegabilmente e manifestamente insufficiente ad assicurare agli interessati il minimo vitale per far fronte alle esigenze primarie della quotidianità, quale nucleo indefettibile di garanzie spettanti agli inabili totali al lavoro, tuttavia la Corte costituzionale evidenziava che non spettasse a essa una diretta e autonoma rideterminazione del correlativo importo. Attesa anche la pluralità di soluzioni prospettate come possibili dal rimettente, un tale intervento manipolativo invaderebbe infatti l'ambito della discrezionalità, che, nel rispetto del "limite invalicabile" di non incidenza sul nucleo essenziale e indefettibile del diritto in gioco, restava riservata al legislatore, cui compete l'individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone disabili. Più precisamente, la pensione di inabilità e l'indennità di accompagnamento di cui all'art. 1 della legge n. 18 del 1980 assolvono a due diverse funzioni:
la prima a sopperire alla condizione di bisogno di chi, a causa dell'invalidità, non è in grado di procacciarsi i necessari mezzi di sostentamento; la seconda a consentire ai soggetti non autosufficienti (in ambito familiare e senza aggravio per le strutture pubbliche) condizioni esistenziali compatibili con la dignità della persona umana. L'indennità di accompagnamento, pertanto, costituisce una provvidenza specifica, funzionalmente diversa ed "aggiuntiva" rispetto alle prestazioni assistenziali connesse alle invalidità, la quale non può essere negata per il fatto che, a determinare il richiesto stato di invalidità civile assoluta, concorrano menomazioni − come la cecità parziale − che danno diritto ad autonome prestazioni. Contrasta infatti con il principio di eguaglianza concedere o meno una prestazione assistenziale a soggetti che ne siano parimenti bisognevoli, a seconda che fruiscano o meno di provvidenze preordinate ad altri fini. In tempi più remoti la Consulta, con propri interventi, aveva eliminato il più favorevole trattamento già riservato ai pubblici dipendenti dagli artt. 1 e 2 del decreto n. 180/1950 rispetto a quello previsto per i lavoratori privati dall'art. 545, comma 4, c.p.c. estendendo di fatto a tutti i prestatori, indipendentemente dalla natura privata o pubblica del rapporto di lavoro, il regime giuridico di pignorabilità e sequestrabilità nella misura di un quinto per ogni credito. La diversità di trattamento tra le due categorie, fondata sulla differenza di status tra impiegati pubblici e privati, cui corrispondeva una profonda diversità di situazioni tale da giustificare la regola dell'impignorabilità, era nata in origine al fine di tutelare il buon funzionamento dei servizi pubblici. Per colmare la ingiustificata diversità tra le due classi (privati e pubblici) in ordine all'aggredibilità delle loro retribuzioni, la Corte Costituzionale mutando il proprio orientamento è intervenuta con due significate sentenze. Con le pronunce n. 89 del 1987 e n. 878 del 1988 la Consulta, prendendo atto dell'esistente disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati e del regime di privilegio per i soli dipendenti dello Stato, aveva ritenuto che l'allargamento della pignorabilità e della sequestrabilità delle retribuzioni dei dipendenti pubblici negli stessi più ampi limiti fissati dall'art. 545 c.p.c. per gli altri lavoratori subordinati non fosse suscettibile di recare turbamento alla funzionalità della pubblica amministrazione. Con una serie di decisioni, di non minore importanza, la Corte Costituzionale aveva profondamente mutato anche il regime dell'assoggettamento ad esecuzione forzata delle pensioni e degli altri assegni sostitutivi erogati dall'Inps stabilendone la pignorabilità al pari dei trattamenti pensionistici a carico dello Stato. Nella specie, il giudice delle leggi aveva precisato che la limitazione all'espropriabilità, che si risolve in una parziale compressione dei diritti dei creditori a rivalersi sulla pensione, dovesse essere contenuta nei limiti di garantire un minimo vitale al pensionato cosicché tutto quanto eccede la parte del trattamento diretta a garantire il minimum non ha ragione di sottrarsi al regime ordinario della piena espropriabilità previsto per la generalità dei casi dall'art. 545 c.p.c. A integrare il panorama giurisprudenziale esposto era intervenuta la sentenza n. 506 del 2002, con cui la Corte Costituzionale statuiva la pignorabilità delle pensioni dei dipendenti sia pubblici sia privati nella misura di un quinto per ogni credito.

Il limite ex art. 545 c.p.c. non è operativo per i compensi dell'amministratore
Il limite di pignorabilità contemplato dall'art. 545 c.p.c. opera per i crediti da lavoro dipendente e non per i compensi dell'Amministratore, stante la differente natura di questi ultimi, discendenti da rapporto organico tra persona fisica ed ente. Consegue che gli emolumenti dell'Amministratore possono essere sottoposti a sequestro preventivo. Il caso risolto dalla Suprema Corte (Corte di Cassazione, pen., sez. III, sentenza del 16 aprile 2021, n. 14250) riguardava un decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Napoli per gravi reati tributari, funzionale alla confisca per equivalente della somma di € 50.000,00 rivenuta nella disponibilità del prevenuto, che ne riconosceva l'importo a titolo di stipendio percepito nella propria qualità di amministratore di una S.p.A., contestandone il provvedimento anche in relazione ai limiti di pignorabilità ai sensi dell'art. 545 c.p.c. Il soggetto aveva eseguito nella qualità di legale rappresentante della S.p.A. e altre società collegate al gruppo di impresa, in concorso con altri indagati, indebite compensazioni di debiti tributari e false fatturazioni, finalizzate a far apparire elementi negativi fittizi nelle dichiarazioni annuali sui redditi e sul valore aggiunto. A tal proposito, gli "ermellini" registrano ben tre indirizzi sul punto ai limiti di pignorabilità nelle fattispecie come quella in esame: 1) maggioritario, ovvero favorevole all'applicazione delle limitazioni del Codice di procedura civile al sequestro preventivo penale; 2) contrario alla predetta applicazione perché il Codice regola rapporti tra privati, mentre l'interesse pubblicistico tutelato con il sequestro esclude che la pretesa conseguente sia di natura civilistica; 3) di tipo intermedio secondo cui il divieto di pignoramento non opera se le somme sono già state corrisposte all'avente diritto e sono confuse con il suo patrimonio perdendo così l'originaria natura "alimentare". Per la Suprema Corte, nel caso sottopostole, rispetto alla regola di impignorabilità secondo i limiti prefissati dall'art. 545 c.p.c., valgono altri criteri che fondano le proprie ragioni sulle funzioni tipiche di gestione e rappresentanza dell'ente. Quindi, i compensi dell'amministratore divergono dai "normali" crediti da lavoro. La loro "specialità" è conseguente al rapporto organico tra persona fisica ed ente, tale per cui non appare irragionevole e incostituzionale un diverso trattamento rispetto ai crediti da lavoro. Con sentenza n. 248/2015, la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare, con riferimento ad altro profilo di specie, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 545, comma 4, c.p.c., sollevata in riferimento agli artt. 1, 2 e 4 Cost., ha ribadito, in generale, che la scelta del criterio di limitazione della pignorabilità e l'entità di detta limitazione rientrano, per costante orientamento della stessa, nel potere costituzionalmente insindacabile del legislatore, specificando poi che lo scopo dell'art. 545 c.p.c. è quello di contemperare la protezione del credito con l'esigenza del lavoratore di avere, attraverso una retribuzione congrua, un' esistenza libera e dignitosa. Per l'effetto, a dir della pronuncia in disamina, sebbene le somme derivassero dalla remunerazione del ruolo di Amministratore svolto dall'indagato, risultavano in ogni caso al di fuori dell'ambito della previsione dell'articolo 545 c.p.c. che impone dei "paletti" solamente ai crediti da lavoro in senso stretto, ma non agli emolumenti dell'Amministratore. Per l'effetto, secondo l'indirizzo da ultimo citato, viene riconosciuta la piena legittimità del sequestro dei compensi dell'Amministratore in ipotesi di commissione di gravi reati tributari contestati alla società. I giudici di legittimità hanno optato, pertanto, per l'orientamento più rigoroso che non fa salvi i compensi dell'Amministratore quando provengano dalla commissione di illeciti penali della società.

Considerazioni conclusive
Il c. VII dell'articolo 545 c.p.c., nella sua formulazione previgente, prevedeva che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non potessero essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. L'assegno sociale è una prestazione economica di natura assistenziale erogata dall'INPS per 13 mensilità, su istanza, ai cittadini (italiani e stranieri) che abbiano compiuto almeno?67 anni di età, in condizioni economiche disagiate e con determinati requisiti reddituali previsti dalla legge. Il relativo importo viene rivalutato annualmente in base alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati e comunicato, con circolare, da parte dell'INPS. Lo stesso c. VII dell'articolo 545 c.p.c. disponeva che la parte eccedente l'ammontare indicato è pignorabile nei limiti previsti dal III, IV e V c. nonché dalle speciali disposizioni di legge. L'art. 21-bis del d.l. n. 115/2022, convertito in legge, ha elevato la soglia di impignorabilità, prevedendo che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000,00 euro. Consegue che le pensioni non potranno essere pignorate fino all'importo di 1.000 euro. Per le pensioni di importo superiore, e limitatamente alla parte eccedente i 1.000 euro, la pignorabilità rimane consentita nei limiti previsti dal III, IV e V c. dell'articolo 545 c.p.c., nonché dalle speciali disposizioni di legge.

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