Giustizia

Povertà di argomenti e scarsa consequenzialità: i voti ai candidati magistrati

Alla Camera lo schema di Dlgs che darà attuazione al regolamento 2019/1238

di Giovanni Negri

Magistrati pochi e difficili da trovare. Anche quando i concorsi ci sono. Tanto da rendere possibile, se non auspicabile una riforma dell’accesso. E così, mentre il vicepresidente del Csm David Ermini chiede almeno 1.300 nuove toghe, nell’ultimo Eu Justice Scoreboard, la panoramica annuale della Commissione europea sulla comparazione dei sistemi giudiziari in termini di efficienza, qualità e indipendenza, diffuso pochi giorni fa, l’Italia si colloca fra tra gli ultimi Paesi per numero di magistrati ogni 100.000 abitanti (poco più di 12, quando la Germania ne ha il doppio). Il tutto quando i dati che il ministero della Giustizia ha reso noti sulla conclusione delle prove scritte per il concorso a 310 posti di magistrato sono senza dubbio preoccupanti.

Già ora, se tutti i candidati che hanno superato lo scritto passeranno anche l’orale, 90 posti resteranno di sicuro scoperti. Infatti, se ai nastri partenza per 310 posti di giudice o pubblico ministero si erano presentati 3.797 candidati, al termine della correzione degli elaborati scritti solo un gracile 5,7%, 220 in tutto, è stato ammesso al passaggio successivo .

Le ragioni? A esporle, tra lo sconfortato e il polemico, è stato uno dei componenti della commissione esaminatrice, l’ex presidente dell’Anm, il pm milanese Luca Poniz: «Trovare candidati del concorso in magistratura che non sanno andare a capo è un problema molto serio, io l’ho imparato in terza elementare...». Di più, «Abbiamo riscontrato - sottolinea Poniz -, una grande povertà argomentativa e una povertà linguistica. Molto spesso i temi ricalcavano schemi pre-confezionati, senza una grande capacità di ragionamento, una scarsa originalità, poca consequenzialità, e in alcuni casi errori marchiani di concetto, di diritto, di grammatica».

Non una novità assoluta peraltro, visto che nel 2008 , quando a concorso vennero messi 500 posti, ne venne coperta circa la metà. E se il concorso in via di svolgimento era stato bandito dall’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e poi si è trascinato nei tempi sino a ora causa covid, a metà luglio è già tempo di un’altra megaselezione a 500 posti questa volta indetta dall’attuale ministra Marta Cartabia.

E tuttavia con queste premesse lo scenario non è incoraggiante. Tanto che già a fine anno, quando l’esito finale degli scritti non era ancora noto, ma le avvisaglie c’erano già tutte, era stato lo stesso Csm a sollecitare un intervento di riforma dell’accesso, approvando una delibera nella quale si chiedeva di tornare al passato, aprendo il concorso a tutti i neolaureati in giurisprudenza, e ripristinando la prova scritta tradizionale, soppiantata nei tempi dell’emergenza sanitaria dall’elaborato sintetico teorico. Ora, nel disegno di legge delega sull’ordinamento giudiziario, in discussione in questi giorni al Senato, il Governo ha previsto un intervento secondo alcune direttrici:

1 consentire lo svolgimento del tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari anche ai laureandi in giurisprudenza;

2 prevedere che la Scuola superiore della magistratura organizzi corsi di preparazione al concorso destinati a chi ha svolto il tirocinio formativo oltre che a coloro che sono stati inseriti nell’ufficio del processo;

3 riformare tanto le prove scritte (tre, volte a verificare le capacità di inquadramento teorico sistematico del candidato) quanto quelle orali, nell’ottica di una taglio delle materie.

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