Penale

Privacy, per il sequestro di sangue in provetta prelevato in ospedale non serve il consenso

La legge garantisce che una volta che i dati personali sanitari o biologici siano stati raccolti - a fini di prova - al di fuori della corporeità dell’individuo, questi non vadano divulgati al di fuori dell’ambito del processo

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di Paola Rossi

Non viola il diritto alla privacy dell’imputato il sequestro in ospedale di provette di sangue raccolte precedentemente per l’effettuazione di analisi mediche. Il campione biologico così acquisito non richiede - al fine di costituire prova legale legittima - il preventivo consenso dell’imputato. Per la Cassazione non vi è alcuna lacuna nella legge italiana sulla protezione dei dati personali in un caso simile. In quanto la legge privacy garantisce comunque che una volta che i dati personali sanitari o biologici siano stati raccolti - a fini di prova - al di fuori della corporeità dell’individuo, questi non vadano divulgati al di fuori dell’ambito del processo.

Come, infatti afferma la sentenza n. 23583/2024 della Cassazione penale alla tutela della privacy della persona di cui sono raccolti elementi biologici già separati dalla sua persona non si applicano le garanzie previste dall’articolo 224 bis del Codice di procedura penale che scattano, infatti, solo in caso di prelievi di materiale biologico acquisito direttamente sul corpo di individuo vivente. Fattispecie in cui il consenso va invece acquisito. A meno che la prova biologica sia assolutamente necessaria all’accertamento di un grave reato il che giustifica addirittura il prelievo coattivo. Prelievo che pur rendendo superfluo il consenso dell’imputato richiede però il rispetto di precise garanzie, come quella dell’assistenza del difensore e della minima durata della coercizione fisica per effettuare il prelievo di sangue o tessuti umani.

Nel caso concreto era stato rinvenuto uno spray per l’asma sul luogo del delitto di cui era accusato l’imputato. E a fini comparativi era stato disposto il sequestro di materiale ematico dell’imputato prelevato per sua volontà e con finalità di cura prima dell’attività investigativa che lo aveva attinto. La Cassazione ha respinto il ricorso per ottenere la revisione del processo respingendo l’argomento difensivo secondo cui l’acquisizione del dato sanitario era viziata da illegittimità per essere stata effettuata la sua acquisizione senza il consenso della persona.

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