Professione e Mercato

Probità, dignità e decoro: principi guida per l'avvocato

Il Consiglio nazionale forense ricorda i concetti guida cui si deve ispirare l'agire degli avvocati, anche nella vita privata

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di Marina Crisafi

Probità, dignità e decoro sono principi guida cui l’avvocato deve ispirare le proprie azioni, sia nella vita professionale che privata. A ricordarlo è il Consiglio nazionale forense che, con la sentenza n. 63/2021, coglie l’occasione di ribadire i doveri generali che il professionista “leale e corretto” deve seguire nel proprio agire a tutela dell’affidamento che la collettività ripone nella sua figura.

  La vicenda
La vicenda prende le mosse dal ricorso di un’avvocatessa avverso la decisione del Consiglio dell’ordine di Roma che gli aveva inflitto la sanzione della censura per aver violato i suddetti principi, in quanto si era resa morosa nei confronti della sorella, non pagandole l’affitto né le spese condominiali, cagionando così anche azioni legali a carico di entrambe in ragione della sussistente responsabilità solidale.

La sorella della professionista documentava l’entità del debito nei confronti del condominio (ben oltre 11mila euro), nonché le diffide e le azioni legali che erano stato intraprese dallo stesso, con la conseguenza che si era ritrovata costretta a saldare l’intero debito.

Il Coa territoriale apriva procedimento disciplinare e all’esito irrogava la sanzione disciplinare della censura.

L’avvocatessa adiva, quindi, il Cnf eccependo e l’intervenuta prescrizione dell’incolpazione e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in quanto avrebbe omesso di valutare le prove documentali e dichiarative acquisite durante il dibattimento, nonché, in subordine, l’eccessiva gravosità della sanzione disciplinare applicata, sproporzionata rispetto ai fatti addebitati.

  La decisione
Per il Consiglio, tuttavia, i motivi di doglianza sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Questo sia per quanto riguarda l’intervenuta prescrizione, in quanto erroneamente la ricorrente ha sostenuto che non vi fossero stati atti interruttivi - tale è da ritenersi infatti, come da costante insegnamento della giurisprudenza domestica e di legittimità (v. tra le altre Cnf, n. 96/2018 e Cass. n. 15896/2019), l’apertura del procedimento disciplinare – sia per quanto concerne la motivazione del Coa che è da ritenersi sufficiente e completa e, comunque, integrabile anche in sede di impugnazione.

Lo scenario prospettato dalla difesa della professionista altro non è che una questione riguardante il rapporto con la sorella che non doveva andare a coinvolgere il condominio. E, dunque, correttamente il Coa ha valutato le deduzioni difensive affermando come costituisca “lesione dei doveri di dignità e decoro della professione l’inadempimento di obbligazioni di pagamento di somme di denaro nei confronti di terzi che non siano suscettibili di contestazioni e che effettivamente siano state opposte”.

“I doveri di dignità, probità e decoro sono doveri generali e concetti guida a cui l’avvocato deve ispirarsi nel suo agire in quanto vogliono tutelare l’affidamento della collettività nei confronti della classe forense” ricorda quindi il Consiglio.

E tali doveri “devono essere rispettati dall’avvocato anche nella vita privata e nei rapporti con i terzi”. Egli, inoltre, “deve adempiere alle obbligazioni nei confronti di terzi indipendentemente dalla natura privata o meno del debito poiché la norma deontologica vuole tutelare l’affidamento dei terzi nei confronti dell’avvocato e della classe forense”.

Inammissibile e comunque infondata, sentenzia infine il Cnf rigettando il ricorso, anche la doglianza sulla gravosità della sanzione disciplinare che deve ritenersi congrua e correttamente determinata in relazione alla complessiva valutazione dei fatti e dell’incolpato.

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