Procedimento disciplinare, accesso vietato al dipendente del gestore privato del servizio pubblico
Il dipendente di un'azienda privata che gestisce un servizio pubblico può chiedere l'accesso al proprio procedimento disciplinare solo se l'attività dell'impresa incide sulla propria situazione ed è «direttamente connessa» alla garanzia della regolarità del servizio. L'ha precisato il Tar di Milano - sentenza 836/2016, Terza sezione, 28 aprile – dichiarando inammissibile, per giurisdizione riservata al giudice del lavoro, il ricorso di un lavoratore che aveva chiesto l'accesso agli atti di un procedimento disciplinare disposto da una società privata a totale partecipazione pubblica nonché gestore di servizi pubblici locali in campo socio-assistenziale. Per il ricorrente, il diniego del datore di lavoro non era stato motivato come richiesto dalle norme sull'accesso agli atti amministrativi (artt. 3 e 25, legge 241/1990) e la conoscenza dei documenti era necessaria per il proprio diritto di difesa in base all'eccezione di legge (comma 7, art. 24).
I giudici hanno spiegato che in questo caso, essendo di natura privata sia la società che il rapporto di lavoro, la controversia va esaminata dal giudice ordinario funzionalmente competente in base al Codice di procedura civile (art. 409 e 413), ma soprattutto che la questione rientra nella disciplina sulle “sanzioni disciplinari” dello Statuto dei lavoratori (art. 7, legge 300/1970) poiché «norma speciale» rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo. Ciò stando all'interpretazione della Cassazione (sentenza 6337/2013) per cui, pur escludendo in tali casi un diritto del lavoratore a ottenere questi atti, il datore «è tenuto, tuttavia, ad offrire in consultazione all'incolpato i documenti aziendali laddove….necessario al fine di…un'adeguata difesa».
Il collegio ha ricordato che la questione dell'applicabilità delle norme sull'accesso amministrativo a questo tipo di rapporti e soggetti è stata di recente rimessa all'Adunanza plenaria e che nel frattempo non è possibile invocare la giurisprudenza che l'ha ritenuta valida – tra cui le pronunce 5/1999 dell'Adunanza plenaria e 1775/2005 del Tar Milano – poiché «presupposto implicito di tale applicabilità era usualmente l'incidenza dell'attività svolta dal gestore privato sulla posizione del soggetto richiedente l'accesso, o in quanto utente del servizio (o ente esponenziale degli utenti), o in quanto lavoratore dipendente inciso dalla attività del gestore privato di organizzazione o gestione della propria struttura aziendale». L'accesso “difensivo” non può cioè essere ammesso se, come nel giudizio in esame, i documenti «non sono atti organizzativi o gestionali» e la gestione del servizio pubblico dell'impresa è «circostanza meramente occasionale e non correlata alla vicenda» del lavoratore sanzionato.
Nella sentenza si è chiarito che l'orientamento del Consiglio di Stato invocato dal lavoratore (sentenza 783/2011) ha sì ordinato la trasparenza anche sulle valutazioni dei dipendenti di un'impresa concessionaria di servizi pubblici, ma l'ha riconosciuta poiché in tal caso «la ottimale organizzazione del personale dipendente è propedeutica (e quindi direttamente connessa) alla più proficua erogazione del servizio pubblico da parte del concessionario», in questo invece la domanda d'accesso del dipendente riguardava «atti estranei a tale ambito».
Tar di Milano - sentenza 836/2016, Terza sezione, 28 aprile