“Protocollo caldo”, superare l’approccio emergenziale con l’adozione di un sistema organico di tutela e prevenzione
Il Protocollo segna un non trascurabile avanzamento nella definizione di responsabilità condivise tra le parti, sancendo che la gestione dei rischi legati alle (ormai strutturali) alte temperature non può essere demandata esclusivamente all’iniziativa unilaterale del datore di lavoro
Il 2 luglio 2025 le parti sociali hanno sottoscritto il c.d. “Protocollo caldo”, un documento che mira ad introdurre misure specifiche per prevenire i rischi legati ai cambiamenti climatici negli ambienti di lavoro, sia all’aperto che al chiuso, con particolare attenzione ai settori e alle mansioni più esposti. Con la firma del Protocollo presso il Ministero del Lavoro, il primo dopo il Covid-19, le parti sociali puntano a dare risposte concrete e operative a lavoratori e imprese in un momento delicato, nel quale il caldo estremo si palesa sempre di più come una vera e propria situazione strutturale, anziché come emergenza. L’obiettivo è garantire la continuità produttiva senza compromettere la salute dei lavoratori, attraverso strumenti di prevenzione, formazione e monitoraggio costante delle condizioni meteorologiche, mediante l’attivazione di parti sindacali e datoriali.
Il Ministero del Lavoro ha già confermato il suo impegno a recepire a breve in un proprio decreto ministeriale le indicazioni contenute nel documento programmatico, che – va sottolineato - ad oggi non ha natura vincolante ma mera valenza politica istituzionale.
Nel dettaglio, il Protocollo richiama il già esistente obbligo datoriale di includere i rischi climatici nella valutazione e nei documenti di sicurezza, aggiornando i documenti previsti dal D.Lgs. 81/2008 e promuove l’idea che la sospensione o la riduzione delle attività per caldo debba rientrare in un concetto di ordinarietà anche al fine del ricorso agli ammortizzatori sociali che le parti sociali auspicano divenire ampio, automatico, ed esteso anche alle ipotesi di lavoro stagionale.
Vengono inoltre promosse buone prassi tramite la contrattazione collettiva, con particolare attenzione a informazione, formazione, sorveglianza sanitaria, dispositivi di protezione e organizzazione di turni, nonché modifica degli orari di lavoro. Si suggerisce anche che, nell’ambito della contrattazione di categoria, territoriale o aziendale, vengano delineati strumenti premiali per le imprese virtuose e gruppi di lavoro per monitorare l’applicazione delle misure.
La reale efficacia del Protocollo dipenderà, oltre che dall’estensione e dalle modalità di recepimento da parte del Ministero del Lavoro delle sue indicazioni, anche dalla capacità delle parti coinvolte di tradurre le linee guida in misure operative concrete e il più possibile tempestive.
E’ innegabile che il documento si proponga di superare una consolidata tendenza ad un approccio meramente emergenziale alla gestione dei rischi climatici nei luoghi di lavoro, promuovendo l’inserimento stabile di tali tematiche all’interno di un sistema organico di tutela e prevenzione. Per far sì che la materia venga davvero sottratta alla logica della contingenza e ricondotta a un quadro strutturato di responsabilità e obblighi, sarebbe stata auspicabile una tempistica, di dialogo delle parti coinvolte e di finalizzazione delle intese, decisamente diversa, calendario alla mano.
Ciononostante, il Protocollo segna un non trascurabile avanzamento nella definizione di responsabilità condivise tra le parti coinvolte, sostanzialmente sancendo che la gestione dei rischi legati alle (ormai strutturali) alte temperature non può essere demandata esclusivamente all’iniziativa unilaterale del datore di lavoro, ma deve costituire oggetto di un processo partecipato, fondato su confronto e coinvolgimento attivo delle rappresentanze sindacali e degli altri soggetti istituzionali competenti.
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*Livio Bossotto (Partner), Giorgia Giorgetti (Counsel) - A&O Shearman