Prova senza limiti per il legittimario che chiede la simulazione delle donazioni fatte dal de cuius
Nei confronti di una vendita stipulata dal de cuius, il legittimario è ammesso a provarne la simulazione (al fine di accertare la natura di donazione) nella veste di terzo e, quindi, senza avere limitazioni nella prova per testimoni e nella prova per presunzioni (limitazioni che, invece, hanno i diretti contraenti del negozio simulato), a condizione che la simulazione sia fatta valere dal legittimario per una esigenza coordinata con la tutela della propria quota di riserva. Lo ha deciso la Cassazione nella sentenza 12317 del 9 maggio 2019.
Con riferimento alla prova della simulazione di atti posti in essere dal de cuius, bisogna distinguere fra la situazione del legittimario che agisce a tutela della quota di riserva e quella del legittimario che propone una istanza di collazione:
a) nel primo caso il legittimario, anche se chiamato a una quota di eredità, ha la veste di terzo, purché, congiuntamente con la domanda di simulazione, proponga, nello stesso giudizio, un’azione diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso;
b) nel secondo caso il legittimario agisce come successore a titolo universale del de cuius per l’acquisizione al patrimonio ereditario del bene oggetto del contratto simulato: egli, pertanto, si trova nella medesima posizione giuridica del dante causa ed è quindi soggetto ai limiti imposti ai contraenti per la prova della simulazione (in sostanza, non sono ammesse la prova per testimoni e la prova per presunzioni, ma occorre disporre di una prova documentale; in altre parole, occorre esibire l’accordo simulatorio che esplicita il contratto dissimulato dietro le sembianze del negozio simulato).
Infatti, l’azione di riduzione riflette un’autonoma legittimazione del legittimario ad agire contro la volontà del defunto (e ciò appunto ne giustifica la qualità di terzo rispetto al negozio simulato posto in essere dal de cuius), mentre la collazione trova il suo fondamento nella presunzione che il de cuius, effettuando in vita donazioni al coniuge e ai figli, abbia semplicemente voluto compiere delle attribuzioni patrimoniali gratuite in anticipo sulla futura successione: funzione della collazione è di conservare fra gli eredi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo ai coeredi che abbiano la qualità di coniuge o di discendente del de cuius di conteggiare il valore della quota non solo sui beni relitti ma anche sui beni donati a taluno di loro.
La quota di legittima è riservata al legittimario da norme cogenti, mentre le norme sulla collazione sono derogabili: una diversa volontà del de cuius (e cioè la volontà di dispensa dalla collazione) trova unico limite nella intangibilità dei diritti dei legittimari: la dispensa dalla collazione sottrae il donatario dal conferimento, ma non importa l’esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile.
L’eventualità che la collazione, tramite il rientro del bene donato nella massa da dividere, possa sortire l’effetto di porre rimedio a una lesione di legittima non significa che la collazione debba essere intesa come strumento per reintegrare la legittima: non ogni donazione soggetta a collazione in quanto fatta al coniuge e al discendente è contemporaneamente soggetta a riduzione e viceversa.
In altre parole, le donazioni fatte al coniuge e ai discendenti sono indistintamente soggette a collazione, salvo che il defunto non abbia espresso una volontà contraria, ma sono nello stesso tempo soggette a riduzione solo quelle che, per essere ultime in ordine di tempo, abbiano intaccato la legittima.
Quando il legittimario sia nello stesso tempo, e con riguardo a una medesima donazione, legittimato in collazione e in riduzione, occorre comunque considerare che la collazione attribuisce al coerede un concorso sul valore della donazione, di regola realizzato attraverso un incremento della partecipazione sul patrimonio dimesso dal de cuius (il cosiddetto relictum), laddove, nella misura della lesione di legittima, il legittimario ha diritto alla reintegrazione in natura.
Non sempre quindi il meccanismo della collazione è idoneo a far conseguire al legittimario la legittima nella sua integrità anche qualitativa. Si giustifica pertanto il concorso dell’azione di riduzione con l’azione di collazione: nella misura occorrente per integrare la legittima occorre esperire l’azione di riduzione, mentre la collazione interverrà in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata integrata, per la redistribuzione del valore della liberalità che eccede l’ammontare di quello espresso con la quota indisponibile.
In presenza di una donazione per la quale sia prevista la dispensa da collazione, le quote della successione intestata si applicano solo se la ripartizione che ne deriva non sia lesiva della quota di riserva. In caso contrario la donazione fatta con dispensa da collazione è comunque imputata nella quota del donatario nella misura occorrente per soddisfare la legittima altrui, mentre la donazione sarebbe soggetta a riduzione solo in caso di insufficienza del relictum e nei limiti di tale insufficienza.
Ebbene, l’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius, diretta a dissimulare, in realtà, una donazione, agisce per la tutela di un proprio diritto ed è terzo rispetto alle parti contraenti, sicché la prova testimoniale e per presunzioni è ammissibile senza limiti quando, sulla premessa che l’atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di riserva, proponga contestualmente all’azione di simulazione una domanda di riduzione della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso.