Lavoro

Pubblico impiego, straordinari da pagare anche se la richiesta non era valida

Per la Cassazione, ordinanza n. 4984 depositata oggi, la violazione delle regole può semmai incidere sulla responsabilità dei funzionari; mentre la prestazione può essere provata anche per testi

di Francesco Machina Grifeo

Nel pubblico impiego a fronte del consenso del datore di lavoro, anche se prestato in maniera non formalmente corretta, il lavoro straordinario va pagato. Mentre l’eventuale violazione normativa relativa alla regolarità della richiesta o ai limiti di spesa pubblica “si può tradurre in una responsabilità contabile di chi lo straordinario abbia consentito, ma non in un danno per il lavoratore che la sua prestazione abbia reso”. Inoltre, l’assenza dei prescritti dispositivi marcatempo non può tradursi una penalizzazione per il lavoratore. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 4984 depositata oggi, aggiungendo che la prova del lavoro straordinario può essere fornita tramite testi.

Il caso era quello di un dipendente dell’Arif Puglia che aveva chiesto circa 17mila euro a titolo di remunerazione per il tragitto casa lavoro e la mancata retribuzione di 20 minuti di straordinario per giornata lavorativa (oltre al risarcimento per la mancata messa a disposizione di acqua potabile, servizi igienici e rifugio a uso spogliatoio) per il periodo dal febbraio 2015 al giugno 2020. Il Tribunale di Foggia gli riconobbe circa 3.300 euro eslcusivamente per gli straordinari non pagati e la Corte d’appello ha confermato il dispositivo.

Contro questa decisione ha proposto ricorso la pubblica amministrazione contestando, in primis, il fatto che il giudice di secondo grado aveva ritenuto tardiva e nuova l’allegazione (avvenuta, per la prima volta, in appello) dell’assenza di autorizzazione dello straordinario.

La Suprema corte ha accolto (con rinvio) il motivo affermando che l’esistenza o meno dell’autorizzazione era un elemento che avrebbe dovuto essere allegato e provato dal ricorrente originario e la cui sussistenza avrebbe dovuto essere verificata d’ufficio dal giudice. Non avendo il Tribunale operato il necessario accertamento, ben poteva l’ARIF chiedere alla Corte d’appello di Bari di compierlo. Del resto, la Pa aveva sempre negato, anche in appello, la spettanza del diritto allo straordinario, il che comporta che il tema della sua autorizzazione non era certo nuovo in appello.

L’Arif ha poi contestato l’aver considerato come prova valida del lavoro straordinario alcune testimonianze, nonostante agli atti mancassero i tabulati estratti dalle rilevazioni dei cartellini marcatempo o dei fogli di presenza controfirmati ai sensi dell’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007. La Sezione Lavoro, dato atto che la norma effettivamente prescrive per gli straordinari la presenza di tali dispositivi, ricorda tuttavia che “pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, che determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione”.

La sentenza impugnata è stata dunque cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari che dovrà decidere la causa nel merito in applicazione dei seguenti principi di diritto: “In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore ha diritto al pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, ove sia eseguita con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la relativa prestazione e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto dei limiti e delle regole sulla spesa pubblica, che possono incidere, eventualmente, sulla responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione, atteso che tale consenso è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c.”; aggiungendo che l’esecuzione della prestazione può “essere dimostrata anche tramite testi, a prescindere da quanto previsto dall’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze”.

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