Pubblico impiego: vale per ogni figlio la regola dei tre anni di assegnazione vicino al coniuge
Lo ha chiarito il Consiglio di Stato, Sez. II, con la sentenza n. 10 agosto 2023 n. 7725 con riguardo alla domanda di un agente della Polizia di Stato che aveva chiesto la conferma dell'assegnazione
Il t ermine massimo di tre anni previsto per i dipendenti pubblici che chiedano di avvicinarsi alla sede di lavoro dell'altro genitore, deve essere inteso nel senso che la relativa assegnazione possa essere estesa anche ai figli successivi al primo. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato, Sez. II, con la sentenza n. 10 agosto 2023, n. 7725, fornendo una interpretazione "coerente con la prospettiva europea e la cornice costituzionale" dell'art. 42-bis del Dlgs. n. 151 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità).
La norma individua in tre anni il termine massimo di durata dell'assegnazione ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. Il Cds chiarisce ora che tale limite deve essere interpretato nel senso che l'assegnazione possa essere estesa anche ai figli successivi al primo.
Nel caso affrontato, un agente della Polizia di Stato aveva chiesto la conferma dell'assegnazione provvisoria, di cui già fruiva nella qualità di genitore di un figlio minore di anni tre, ad un determinato commissariato, vicino alla sede di lavoro della moglie, addetta alle vendite per conto di una multinazionale del lusso presso un centro commerciale in Lombardia, motivandolo con la necessità di prendersi cura del figlio secondogenito. La P.A. aveva respinto l'istanza, perché il ricorrente aveva già fruito per il primo figlio dell'intero periodo massimo concedibile consentito dalla normativa (tre anni).
Il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso, annullando il diniego ma l'amministrazione aveva proposto appello al Consiglio di Stato affermando che la norma, diversamente da quanto opinato dal primo giudice, nel necessario raccordo tra l'incipit, che individua i potenziali beneficiari nei genitori «con figli minori fino a tre anni di età», utilizzando il plurale, e la declinazione dell'istituto, che comunque può essere concesso «per un periodo complessivamente non superiore a tre anni», deve necessariamente riferirsi all'intero lasso della carriera del dipendente.
Una lettura che non passa il vaglio della II Sezione che invece fa proprio l'assunto del giudice di primo grado, laddove ha ritenuto che ragioni di interpretazione sistematica, in chiave costituzionalmente e eurounitariamente orientata, impongono l'applicazione della norma anche ai figli successivi al primo.
La garanzia di parità nell'accudimento dei figli, spiega il Collegio nella motivazione, evitando che esso "gravi" (tale divenendo a quel punto l'espressione più consona) esclusivamente su quello tra i genitori che ha la possibilità "fisica" di prendersene cura - in linea di massima e per connaturale impostazione del sistema, la donna - non può trovare effettiva esplicazione se il nucleo familiare è diviso e distante per esigenze lavorative dei genitori: e ciò a valere per tutti i figli e non solo per il primogenito ovvero per quello in funzione del quale sia stato già utilizzato l'istituto de quo. La creazione di una dimensione familiare equilibrata e ispirata all'eguaglianza di genere in senso sostanziale, superando il modello del cosiddetto "male breadwinner", oramai inadeguato anche sotto il profilo economico, costituisce infatti un modo per garantire anche indirettamente maggiori probabilità per la madre di accedere o conservare il lavoro extradomestico. Da qui la necessità, anche sotto tale profilo, di non limitare ad un solo figlio ogni misura che consenta il possibile affiancamento alla stessa del padre del minore.
Beninteso, precisano i giudici di Palazzo Spada, la domanda dovrà pur sempre essere vagliata alla luce delle ragioni eccezionali che ne giustificano il diniego, ovvero delle motivazioni organizzative o di servizio, che ben potrebbero essere mutate rispetto al momento dell'istruttoria della richiesta originaria, proprio in ragione, ad esempio, di carenze sopravvenute di organico astrattamente riconducibili alla concessa fruizione del medesimo beneficio normativo. Si tratta tuttavia di valutazioni rimesse alla concretezza dell'istruttoria del caso singolo, meglio ancora se in applicazione di criteri generali predeterminati che consentano di individuare a priori le modalità di scrutinio della eventuale pluralità di domande contestualmente pervenute, ovvero connotate da elementi oggettivi di diversificazione che l'amministrazione intenda preventivamente valorizzare. Finanche la probabile difficoltà di motivare con esigenze di servizio un diniego a un dipendente già fuori sede in assegnazione provvisoria per un altro figlio, potrebbe essere superata dalle sopravvenienze, come accade ad esempio laddove sia venuto meno medio tempore il dipendente che ha sopperito alle sue specificità professionali.