Penale

Reati abituali: possibile arresto in flagranza con precedenti denunce della vittima

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di Giuseppe Amato

Nei reati abituali è possibile procedere all'arresto in flagranza anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all'arresto derivi da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui egli non abbia assistito personalmente, purché tale soggetto assista a una frazione dell'attività delittuosa che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l'abitualità richiesta dalla norma; ovvero purché - già forte del suo bagaglio conoscitivo - l'operante sorprenda il reo con cose o tracce dalle quali appaia che questi ha commesso il reato immediatamente prima. Lo ricorda la Cassazione con la sentenza n. 7915 del 21 febbraio 2019. Del resto, ove ci non fosse consentito, sarebbe impossibile procedere all'arresto di chi si rende responsabile di reati abituali (possibilità invece espressamente contemplata dall'articolo 380 del codice di procedura penale, dove è prevista l'obbligatorietà dell'arresto per i maltrattamenti e gli atti persecutori), giacché ben raramente il soggetto (pubblico o privato) abilitato a effettuare l'arresto assiste direttamente a tutta la sequenza criminosa che integra l'abitualità. Da queste premesse, la Corte, accogliendo il ricorso del pubblico ministro, ha riconosciuto come legittimo l'arresto per il reato di atti persecutori - non convalidato erroneamente dal giudice sul presupposto che mancasse la flagranza - eseguito dalla polizia giudiziaria nei confronti di un soggetto sorpreso nei pressi dell'abitazione della vittima, con la disponibilità di "biglietti" - con su scritto il proprio numero telefonico - del tipo di quelli rinvenuti proprio nelle pertinenze dell'abitazione, in un contesto in cui la vittima già in precedenza aveva presentato denunce lamentando il comportamento persecutorio subito.

L'esatta individuazione del concetto di flagranza - L'affermazione è condivisibile e, per coglierne il concreto significato operativo, assume rilievo l'esatta individuazione del concetto di «flagranza» (rectius, di «quasi flagranza») allorquando questa si sia sostanziata nel rinvenimento di cose o tracce del reato commesso immediatamente prima. La giurisprudenza, in proposito, è assolutamente consolidata, nel senso che, anche alla luce delle puntualizzazioni fornite dalle sezioni Unite (sentenza 24 novembre 2015, Ventrice), la «quasi flagranza» legittimante l'arresto da parte della polizia giudiziaria è configurabile tutte le volte in cui sia possibile stabilire un particolare "nesso" tra il soggetto e il reato che consenta di ricondurre al primo la commissione dell'illecito, anche allorquando questi non sia colto nell'atto di commetterlo. Tale condizione si può configurare - alla luce dell'indicazione normativa dell'articolo 382 del Cpp, secondo cui «è in stato di flagranza chi viene colto nell'atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima» - nel caso in cui l'arresto avvenga in esito a inseguimento, ancorché protratto ma effettuato senza perdere il contatto percettivo anche indiretto con il fuggitivo, ovvero nel caso di rinvenimento sulla persona dell'arrestato di cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (cfr. sezione V, 3 dicembre 2018, Proc. Rep. Trib. Savona in proc. Rouchdi; sezione IV, 26 ottobre 2017, PM in proc. Kukiqi e altro; cfr. anche sezione IV, 14 dicembre 2018, Proc. Rep. Trib. Bologna in proc. Capitale, laddove, in particolare, la Cassazione ha ritenuto che fosse stato eseguito correttamente l'arresto, nella quasi flagranza, in quanto le forze dell'ordine, intervenute tempestivamente una volta allertate, avevano rinvenuto il soggetto autore del reato ancora sul luogo, rappresentando questa stessa presenza una "traccia" del reato, rimasto peraltro nell'ipotesi di un tentativo, commesso immediatamente prima).

Cassazione – Sezione V penale – Sentenza 21 febbraio 2019 n. 7915

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