Penale

Reati contro la libertà sessuale, patrocinio a spese dello Stato anche per gli "abbienti"

Lo ha confermato la Corte costituzionale sentenza 1/2021 dichiarando la questione non fondata

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È legittima la previsione del patrocinio gratuito per le vittime di reati contro la libertà e l'autodeterminazione sessuale, in particolare se minori, a prescindere dalle condizioni economiche. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, sentenza 1/2021, dichiarando non fondate le questioni di legittimità sollevate dal Gip del Tribunale di Tivoli.

Secondo il rimettente invece l'art. 76, comma 4-ter, del Dpr 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», sarebbe contrario agli articoli 3 e 24, 3 comma, della Costituzione nella parte in cui, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione assurta a "diritto vivente", dispone l'ammissione automatica – a prescindere dunque dai limiti di reddito – al patrocinio a spese dello Stato delle persone offese dai reati di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale.

Per la Consulta però la scelta "rientra nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma medesima oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati".

La norma infatti si inquadra nella volontà di "approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell'emersione e nell'accertamento delle condotte penalmente rilevanti".

Ed infatti, nel preambolo del Dl 23 febbraio 2009 n. 11, che ha introdotto la disposizione in esame, si richiama «la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell'allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati». Non diverse sono le considerazioni sviluppate nel preambolo del Dl 14 agosto 2013, n. 93.

"È evidente, dunque – prosegue la decisione -, che la ratio della disciplina in esame è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l'obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità".

Del resto, nell'ordinamento sono presenti "altre ipotesi in cui il legislatore ha previsto l'ammissione a tale beneficio a prescindere dalla situazione di non abbienza".

Per quel che concerne, infine, la prospettata violazione dell'art. 24, terzo comma, Cost., la Corte evidenzia che il parametro evocato impone di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione: "Esso non può, dunque, essere distorto nella sua portata, leggendovi una preclusione per il legislatore di prevedere strumenti per assicurare l'accesso alla giustizia, pur in difetto della situazione di non abbienza, a presidio di altri valori costituzionalmente rilevanti, come quelli in esame".

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