Penale

Reddito di cittadinanza, sequestrate somme se viene taciuta la detenzione di un familiare indicato come convivente

La responsabilità penale scatta anche se al netto dell'omissione si ha diritto al beneficio. Ma sul punto la Cassazione nutre dei dubbi

di Paola Rossi

La Cassazione conferma la legittimità del sequestro della carta di credito e delle relative somme ricevute a titolo di reddito di cittadinanza nei confronti del beneficiario che abbia omesso di fornire un'informazione necessaria al riconoscimento del diritto da parte dell'Inps. Nel caso, la ricorrente aveva taciuto lo stato di detenzione del padre indicato, al contrario, come convivente. La Cassazione respinge, con la sentenza n. 44366/2021, i due motivi del ricorso.

Indebita percezione
La Cassazione conferma la misura cautelare impugnata ma solo perché, in base a notizie ottenute dalla Guardia di finanza, appariva allo stato degli atti insussistente il diritto al reddito di cittadinanza da parte della ricorrente.
Infatti, non convince la stessa Corte di cassazione l'orientamento giurisprudenziale di legittimità sposato dal tribunale del riesame che ha confermato il fumus del reato- e quindi il sequestro del reddito percepito dalla ricorrente - sulla base dell'accertata omissione di un'informazione dovuta per legge, ma senza verificare puntualmente in fase cautelare la possibilità che l'imputata avrebbe comunque avuto diritto al beneficio.
L'orientamento adattato al caso del reddito di cittadinanza è quello emerso in materia di gratuito patrocinio, dove l'ommissione di un dato reddituale è di per sé sufficiente alla revoca del beneficio e alla relativa sanzionabilità.

Ma come fa rilevare la sentenza la norma Rdc, che prevede la reclusione per chi falsa o omette i dati reddituali necessari alla concessione del beneficio, mira a colpire espressamente l'"indebita percezione" del sostegno. Si legge, invece, tra le righe della sentenza, che la responsabilità penale vada affermata (anche solo come fumus delictii) solo se non sussiste in concreto il diritto all'ottenimento del reddito di cittadinanza che sia stato erogato appunto "indebitamente".

La sufficienza, ai fini penali, della "mera" violazione degli obblighi dichiarativi è stata, invece, affermata da un precedente di Cassazione del febbraio 2020 proprio in materia di reddito di cittadinanza. Ora l'attuale sentenza apre una riflessione sul punto della rilevanza della sussistenza del diritto, nonostante la dichiarazione infedele all'Inps, per il determinarsi della responsabilità penale del percettore.

Legittimità del sequestro
Le cifre sequestrate sono legittimamente sottoposte alla misura cautelare, in quanto questa mira a sottrarne la disponibilità da parte di chi è sospettato di aver commesso il reato previsto dall'articolo 7 della legge sul reddito di cittadinanza. La ricorrente affermava, invece, che essendo di proprietà dell'Inps tali somme non potevano essere sequestrate. Però il ragionamento espresso con il motivo di ricorso partiva dalla tesi che il sequestro fosse stato disposto a fini di confisca. E obiettivamente tale misura cautelare non potrebbe essere stabilita se non contro chi ha diritto alla restituzione del bene in quanto titolare. Al contrario, fa rilevare la Cassazione, nel caso concreto si tratta di sequestro impeditivo che nel caso di accertamento del reato determinerebbe l'obbligo di restituzione del denaro a favore dell'ente erogante. E perciò si tratterebbe di misura legittima perché comunque elevata contro chi ha la materiale disponibilità del bene di cui si vuole impedire la spendita.

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