Civile

Registrazione di conversazione tra colleghi: non c’è violazione della privacy se necessario per difesa

La Cassazione estende i principi già affermati in ambito di lavoro subordinato ai giudizi disciplinari e alle regole deontologiche a presidio della professione medica, ritenendo che il diritto di difesa dell’interessato prevalga sul diritto alla riservatezza della persona registrata

di Alessandro Candini*

Con l’ordinanza datata 5 marzo 2025, n. 5844, la Corte di Cassazione ha esaminato un interessante caso, nel quale regole deontologiche e norme di legge si intrecciano sullo sfondo dei principi in materia di trattamento dei dati personali.

Il caso riguarda un medico finito sotto procedimento disciplinare per aver registrato una conversione intercorsa con un proprio collega, per avere poi utilizzato quella registrazione in un procedimento penale in cui era imputato.

L’organismo disciplinare aveva sanzionato il medico per violazione dei doveri di rispetto e fiducia tra colleghi, ritenendo che la registrazione della conversazione con il collega e il relativo utilizzo integrassero un comportamento scorretto e lesivo del rapporto fiduciario tra colleghi.

In sede disciplinare si era inoltre ritenuto che la registrazione della conversazione tra l’incolpato e il collega violasse il Regolamento (UE) 2016/679 (c.d. “GDPR”) in materia di protezione dei dati personali, in quanto il trattamento dei dati personali era avvenuto senza il consenso dell’interessato.

Come è noto, infatti, il trattamento dei dati personali altrui, al di fuori di contesti familiari o domestici, può avvenire soltanto in presenza di una delle condizioni di liceità sancite dall’articolo 6 del GDPR, tra cui, appunto, il consenso.

La Corte di Cassazione ha, tuttavia, annullato la decisione della Commissione disciplinare, ritenendo che la registrazione nel caso di specie potesse essere effettuata lecitamente, in quanto necessaria per far valere un diritto in sede giudiziaria, così come previsto dall’art. 24 del Codice in materia di protezione dei dati personali vigente all’epoca dei fatti contestati (oggi la norma di riferimento è da individuare nell’art. 9, comma 2 lettera f, del GDPR).

È interessante rilevare che la scriminante in questione opera a prescindere dalla esatta coincidenza soggettiva tra i conversanti e le parti processuali, purché l’utilizzazione della registrazione avvenga solo in funzione del perseguimento di tale finalità e per il periodo di tempo strettamente necessario.

Principi analoghi erano stati già affermati dalla giurisprudenza in ambito di rapporti di lavoro subordinato, nei casi di registrazioni avvenute tra colleghi.

In detti casi la giurisprudenza ha annullato le sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro al dipendente che aveva registrato la conversazione, ritenendo che l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, con la conseguenza che è legittima la condotta del lavoratore che abbia registrato il collega per tutelare la propria posizione all’interno della società e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.

Con la pronuncia in commento la Cassazione ha esteso i principi già affermati in ambito di lavoro subordinato ai giudizi disciplinari e alle regole deontologiche a presidio della professione medica, ritenendo che il diritto di difesa dell’interessato prevalga sul diritto alla riservatezza della persona registrata.

È opportuno segnalare che tale principio si applica soltanto alla registrazione tra presenti, in cui colui che registra è parte della conversazione, posto che la registrazione di conversazioni di cui non si è parte può invece integrare illecito civile e penale.

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*Alessandro Candini – Studio Legale Finocchiaro

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