Lavoro

Reperibilità notturna in sede da retribuire in modo proporzionato anche senza interventi

La reperibilità rientra comunque nell’orario di lavoro e non può essere mai coincidente con un periodo di riposo per cui il giudice nazionale deve valutare che essa sia indennizzata adeguatamente

di Paola Rossi

La reperibilità e a maggior ragione quella assicurata attraverso la permanenza sul luogo di lavoro rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro. Va perciò affermato che il tempo trascorso nella sede di lavoro per la reperibilità notturna, seppur non vada automaticamente retribuito come lavoro straordinario notturno al lavoratore, impone la corresponsione di una proporzionata compensazione economica per aver assicurato la propria presenza e disponibilità per eventuali esigenze improcrastinabili, che di fatto possono anche non concretizzarsi in interventi realmente effettuati. Ciò che rileva è infatti la messa a disposizione del proprio tempo per le finalità d’impresa.

Nel caso concreto risolto dalla Cassazione civile con la sentenza 10648/2025 è stata annullata la decisione di appello che riformando quella di primo grado aveva - secondo le norme contrattuali del Ccnl delle cooperative sociali - affermato che le modalità di presenza notturna di circa 40 ore settimanali assicurate dal ricorrente andavano qualificate come reperibilità con pernottamento e non come lavoro straordinario. Ma non aveva valutato l’adeguatezza della retribuzione riconosciuta dal Ccnl. Infatti, premesso che la reperibilità rientra nella nozione di orario di lavoro, non è vietato che venga pagata diversamente rispetto alla normale retribuzione magari proprio distinguendo i casi in cui gli interventi indefettibili siano stati o meno realizzati dal lavoratore, va però riconosciuto ai sensi dei principi costituzionali un adeguato riconoscimento economico al lavoratore solo per il fatto di essere stato a disposizione.

La Cassazione accoglie i motivi di ricorso in base alla corretta interpretazione delle nozioni di orario di lavoro e periodi di riposo che sono in rapporto di totale dicotomia. Nozioni da interpretare alla luce delle norme comunitarie e della giurisprudenza della Corte Ue da cui emerge che i periodi di reperibilità, anche senza permanenza sul luogo di lavoro, devono essere qualificati come “orario di lavoro”, a maggior ragione, se il lavoratore è obbligato alla presenza fisica sul luogo indicato dal datore di lavoro, manifestando una sostanziale disponibilità nei confronti di quest’ultimo, al fine di intervenire immediatamente in caso di necessità. Ciò impone un’adeguata indennizzazione per il tempo sottratto alla vita sociale e familiare anche se non giustifica la piena retribuzione per gli straordinari.

L’integralità del periodo di reperibilità deve essere qualificata come «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, a prescindere dalle prestazioni di lavoro realmente effettuate dal lavoratore nel corso di tale periodo di tempo.

In conclusione, in base alla normativa dell’Unione europea e all’interpretazione della Corte di Giustizia (come attuata nella normativa italiana) non è imposto che il turno di reperibilità notturno debba essere retribuito come lavoro straordinario notturno - ciò che aveva chiesto e ottenuto in primo grado il ricorrente - ma non è consentito che sia esclusa la sua presa in considerazione a fini retributivi o, come dice la Cassazione, almeno “adeguatamente indennitari”.

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