Responsabilità

Responsabilità della banca nella negoziazione di assegni trafugati

Nel corso degli anni la giurisprudenza si è interrogata più volte, con esiti contrastanti, sulla natura della <span id="U402132497403FhH" style="font-weight:bold;font-style:normal;">responsabilità della banca</span>, che paghi a persona diversa dal reale prenditore un assegno circolare o bancario non trasferibile. 

di Simona Daminelli*

*ESTRATTO da Top 24 Diritto - Percorsi di Giurisprudenza- Diritto Bancario , aggiornamento Gennaio 2023, commento a cura di Simona Daminelli, La Scala - Società Tra Avvocati

Numerosi sono i casi di truffa perpetrati da soggetti che, dopo aver intercettato assegni spediti tramite servizio postale, provvedono al relativo incasso assumendo una falsa identità, spesso aprendo all'uopo un nuovo rapporto contrattuale con una banca. I truffatori, ai fini dell'identificazione, usualmente forniscono copie di carte d'identità e di tesserini del codice fiscale falsi e, per non destare sospetti, la somma portata dal titolo di credito – una volta accreditata sul nuovo conto – viene prelevata in più tempi. Nel corso degli anni la giurisprudenza si è interrogata più volte, con esiti contrastanti, sulla natura della responsabilità della banca, che paghi a persona diversa dal reale prenditore un assegno circolare o bancario non trasferibile. 

La questione ruota tutta intorno all'interpretazione dell'art. 43, 2° comma l.a., che disciplina la materia, a mente del quale "colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso, risponde del pagamento ".

Secondo un primo risalente orientamento (cfr. Cassazione n. 3133/1958), in caso di errato pagamento, l'istituto di credito è tenuto a ripeterlo, per non aver validamente adempiuto all'obbligazione cartolare originaria. In un secondo momento, invece, la Suprema Corte (cfr. Cassazione n. 2360/1968) affermò che chi esegue l'errato pagamento di un assegno ne risponde verso il reale prenditore, soltanto qualora non abbia impiegato la dovuta diligenza nell'identificazione del presentatore del titolo. La ratio di tale decisione era essenzialmente quella di impedire la circolazione dell'assegno rubato.

Nel 1999 i giudici di legittimità mutarono totalmente parere e, con la sentenza n. 1098, fecero proprio il concetto di "responsabilità oggettiva". In altre parole, secondo la Cassazione dell'epoca, la banca che paghi a chi non era legittimato non è liberata dalla propria obbligazione finché non paghi l'effettivo prenditore, indipendentemente dal fatto che abbia operato senza colpa nell'identificazione del prenditore medesimo. In questo caso la finalità era la tutela del beneficiario dell'assegno, per l'ipotesi di appropriazione del titolo, per riscuoterlo, da parte di terzi.

L'indirizzo giurisprudenziale è rimasto tale per alcuni anni, finché, a partire dal 2016, i giudici di legittimità hanno emesso decisioni, che hanno iniziato ad attribuire nuovamente rilevanza al criterio della colpa, facendo discendere la responsabilità dell'istituto di credito dal dovere di diligenza di cui all' art. 1176, 2° comma c.c. Nel 2018, stante l'esistenza di orientamenti contrastanti, la questione è stata infine rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione, che si sono pronunciate con sentenza n. 12477 del 2018 .

Prima di tutto, i giudici hanno dichiarato di prendere le mosse della loro analisi da un'altra importante decisione delle Sezioni Unite, la n. 14172 del 2007 , che ha composto un precedente contrasto giurisprudenziale sorto circa la natura (contrattuale, extracontrattuale o ex lege) della responsabilità che deriva dal pagamento dell'assegno intrasferibile a persona diversa dal prenditore. In tal caso, le Sezioni Unite avevano concluso per la responsabilità contrattuale, da riferirsi, sia alla banca trattaria, sia a quella negoziatrice, precisando che la stessa trova il suo fondamento nella c.d. teoria del contatto sociale, "ravvisabile ogni qualvolta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l'affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto".

Di conseguenza, dopo aver ricondotto la responsabilità della banca negoziatrice nell'alveo di quella contrattuale derivante da contatto qualificato, la Cassazione nel 2018 ha ritenuto non più sostenibile la tesi secondo la quale la banca risponde del pagamento dell'assegno non trasferibile, effettuato in favore di chi non è legittimato, a prescindere dalla sussistenza dell'elemento della colpa nell'errore sull'identificazione del prenditore. Pertanto, l a banca negoziatrice deve essere ammessa a provare di aver agito con la dovuta diligenza e che, pertanto, l'inadempimento non le è imputabile.

Seguendo il solco tracciato da tale pronuncia, sempre le Sezioni Unite, con sentenza 26 maggio 2020, n. 9769 hanno riconosciuto che, in caso di assegno pagato erroneamente, una responsabilità può essere individuata anche in capo al soggetto che ha spedito il titolo poi trafugato. In altre parole, il mittente con le sue azioni ben può concorrere nella causazione dell'evento dannoso.

Infatti, secondo la Suprema Corte è oggettivamente difficile negare che, in caso di sottrazione di un assegno non trasferibile non consegnato direttamente al prenditore, le modalità prescelte per la sua trasmissione abbiano un nesso causale con l'incasso da parte di un soggetto non legittimato. La scelta di utilizzare la posta ordinaria, dunque, rappresenta un presupposto, analogamente all'errata identificazione del prenditore, dell'evento pregiudizievole. Conseguentemente, la Suprema Corte ha affermato che la decisione del soggetto emittente l'assegno di utilizzare la posta, nonostante i tanti furti subiti, equivale alla consapevolezza di esporsi ad un rischio e, pertanto, giustifica il riconoscimento di un concorso colposo da parte del danneggiato ex art. 1227 c.c., comma 1.


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