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Società, responsabilità della cessionaria per i debiti tributari della cedente inerenti al ramo oggetto di trasferimento

Nota a Corte di Cassazione 11 aprile 2022 n. 11678

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di Giampaolo Campoli*

Con la sentenza n. 11678, depositata lo scorso 11 aprile , la Suprema Corte di Cassazione è tornata sul tema della responsabilità della società cessionaria di ramo d'azienda per i debiti tributari della cedente.

Si esamini, prima di tutto, il caso concreto in ordine al quale la Suprema Corte si è trovata a prendere posizione con la sentenza in commento. Nel 2015, una società in accomandita semplice, in veste di cessionaria di un ramo d'azienda, riceveva alcune cartelle di pagamento contenenti dei tributi (IVA, IRPEG, IRAP) dovuti dalla cedente per gli anni d'imposta 2002, 2003 e 2004.

La società cessionaria impugnava gli atti esattivi ricevuti e la Commissione tributaria provinciale ne accoglieva parzialmente il ricorso, affermando che, in sede di cessione di ramo d'azienda, il cessionario risponde dei debiti fiscali pregressi del cedente solamente entro i limiti del valore del ramo ceduto.

Non ritenendo corretta la decisione di primo grado, la società appellava la decisione dinnanzi alla Commissione tributaria regionale dell'Umbria, ove ribadiva che la sua responsabilità per i debiti fiscali provenienti dalla cedente poteva configurarsi solo nell'ipotesi in cui fosse possibile dimostrare l'inerenza dei debiti oggetto di riscossione al ramo d'azienda ceduto.

La CTR Umbria accoglieva integralmente il ricorso della società cessionaria del ramo d'azienda, ponendo in evidenza come l'art. 14, d.lgs. n. 472/1997 (il quale, al primo comma, prevede che "Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore") sia caratterizzato da una ratio legis del tutto coincidente con quella dell'art. 2560 del codice civile (il quale dispone che "L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori").

Da questa notazione la Commissione regionale faceva discendere il limite della responsabilità fiscale della cessionaria ai soli debiti tributari inerenti al ramo d'azienda oggetto di trasferimento.

Inoltre, nell'individuare l'esatto ammontare dei tributi di cui avrebbe dovuto legittimamente rispondere la cessionaria, la CTR Umbria, giudicava corretto il criterio suggerito dalla contribuente, il quale si basava sugli studi di settore riferiti alla specifica attività oggetto del ramo d'azienda ceduto e cioè di officina meccanica (si trattava di un'attività collaterale a quella di rivendita di autoveicoli esercitata dalla cedente).

Dando seguito a questo criterio presuntivo, il collegio regionale riconosceva che la società cessionaria dovesse rispondere di una quota pari al 5% dei debiti contenuti nelle cartelle che le erano state notificate.

La Cassazione veniva, infine, investita della vicenda con il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate, con il quale veniva contestata, essenzialmente, la violazione e falsa applicazione dell'art. 14, d.lgs. n. 472/1997.

Secondo la tesi propugnata dall'Amministrazione finanziaria, la disciplina contenuta nell'articolo 2560 c.c. (che fissa un limite nelle evidenze delle scritture contabili) non poteva trovare applicazione ai debiti fiscali.

In ambito tributario, infatti, deve trovare applicazione la sola norma speciale di cui all'art. 14, d.lgs. n. 472/1997, la cui finalità intrinseca è di matrice antielusiva, a tutela dei debiti tributari. Secondo l'Agenzia, l'articolo 14 forniva anche delle tutele in favore del cessionario, considerato che il comma 3 consente di richiedere all'Amministrazione il rilascio di un certificato dal quale risulti l'esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite ma per le quali i debiti non sono stati soddisfatti.

L'Agenzia riteneva altresì apodittica la scelta del criterio presuntivo degli studi di settore per determinare l'ammontare dei debiti effettivamente dovuti dal cessionario.

Con riguardo agli studi di settore, l'Amministrazione contestata infine la violazione dell'art. 2697 c.c., in quanto la società ricorrente si era limitata a dedurre la percentuale del 5% come limite della sua responsabilità tributaria, senza mai produrre in atti gli studi di settore da cui emergeva il dato in questione.

Nel definire il giudizio, la Suprema Corte chiarisce che, prima di tutto, si deve porre mente al criterio di inerenza dei debiti desumibile dalla disciplina codicistica in materia di debiti relativi all'azienda ceduta, rispettando, al contempo, le finalità antielusive tipiche dell'art. 14, d.lgs. n. 472/1997.

Per contemperare il criterio civilistico di inerenza dei debiti della cedente con la norma tributaria antielusiva di cui al citato articolo 14, il Supremo Collegio ci ricorda, in prima battuta, che la norma tributaria oggetto di disamina è a carattere speciale ma non eccezionale.

Questo significa che, per un verso, la norma contenuta nel decreto legislativo n. 472/1997 disciplina gli effetti della cessione del ramo d'azienda sui rapporti tributari, derogando alle disposizioni di cui all'art. 2560 c.c. mentre, per l'altro verso, tutti quegli aspetti in ordine ai quali la norma speciale (tributaria) non deroga la generale (civilistica), continuano ad essere regolati da quest'ultima.

Pertanto, la prima conclusione alla quale si giunge è che il criterio di inerenza dei debiti tributari al ramo d'azienda ceduto, rappresenta il criterio cardine tramite il quale delimitare la responsabilità in campo fiscale del cessionario del ramo d'azienda.

Detto questo, la Cassazione mette in evidenza anche la necessità di far convivere il principio di capacità contributiva con l'interesse erariale a conservare la garanzia sui beni del debitore, contrastando possibili condotte elusive.

A questo scopo, richiamando un suo consolidato orientamento, la Suprema Corte afferma che le finalità antielusive perseguite dalle norme tributarie in caso di cessione di ramo d'azienda vengano opportunamente rispettate tenendo conto della regolarità della cessione. Per meglio dire, si deve evitare che vengano attuate cessioni di beni aziendali "mascherati" da rami di azienda e a questo scopo è necessario individuare i criteri che permettono di distinguere un vero ramo d'azienda da un mero conglomerato di beni appartenenti alla società cedente.

Il primo elemento costitutivo della cessione consiste nell'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, la funzione cui risultava destinato nell'ambito dell'impresa cedente, anche rispetto ad un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva, purché dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività capaci di tradursi in beni e servizi ben individuabili.

Poi, richiamando la giurisprudenza europea, la Suprema Corte considera "ramo d'azienda" (suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda) ogni unità produttiva che conservi la sua identità, al momento del trasferimento e (come affermato anche dalla Corte di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, in C-51/00) consenta l'esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo (Cass., n. 9361 del 28/04/ 2014).

Traendo le dovute conclusioni, con la sentenza qui riferita, la Cassazione ha voluto confermare che la responsabilità fiscale del cessionario di un ramo d'azienda si limita ai tributi dovuti dalla cedente che mostrino un'effettiva inerenza con il ramo d'azienda oggetto di trasferimento e sempre che il ramo in questione possa dirsi dotato di una propria identità e di una piena autonomia funzionale e produttiva. In tal modo, si riesca a contemperare la tutela del principio di capacità contributiva con la finalità antielusiva perseguita dalle norme tributarie in materia di cessione di azienda, mantenendo inalterata la libera circolazione dei compendi aziendali.

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*A cura di Giampaolo Campoli, avvocato tributarista, Membro del Comitato scientifico nazionale della Fondazione School University

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