Responsabilità del fornitore, rinvio della Cassazione alla Corte Ue
Alla base del quesito il caso di una società che non ha apposto il marchio sul bene ma ha una denominazione che in parte coincide con quella del produttore
Con l’ordinanza interlocutoria 6568 del 6 marzo 2023, la Corte di cassazione, in base all’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ha rimesso alla Corte di giustizia Ue una questione relativa all’individuazione dei limiti di estensione al fornitore della responsabilità del produttore per danno da prodotto difettoso.
Il principio generale che regola la materia in ambito Ue, originariamente attuato in Italia con l’articolo 3, comma 3, Dpr 224/1988, poi “assorbito” dall’articolo 103, comma 1, lettera d), del Codice del consumo, è a tutt’oggi contenuto nell’articolo 3, comma 1 della direttiva 85/374/Cee, in base al quale per «produttore» si deve intendere «il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso».
Nella vicenda esaminata dalla Cassazione, un consumatore, coinvolto in un incidente automobilistico, cita in giudizio la società che distribuisce in Italia il modello di auto di sua proprietà e ne chiede la condanna al risarcimento dei danni subiti, lamentando il mancato funzionamento dell’air bag. Nel costituirsi, la società italiana eccepisce di essere mero “fornitore” e indica quale effettivo “produttore” dell’auto un’altra società con sede in Germania, appartenente allo stesso gruppo industriale.
Tuttavia, in primo e in secondo grado, la società italiana risulta soccombente. In particolare, la Corte d’appello di Bologna, rilevato che nella denominazione sociale della società italiana è compreso lo stesso nome commerciale che caratterizza la società tedesca, effettiva “produttrice”, condanna la società italiana applicando il principio di diritto elaborato alcuni anni fa dalla Cassazione in una controversia analoga, in base al quale «il distributore o l’importatore rispondono del danno causato dal vizio costruttivo del prodotto, se abbiano un marchio o una ragione sociale coincidenti in tutto o in larga parte con quelli del produttore, e sotto tali segni distintivi abbiano commercializzato il prodotto» (Cassazione, ordinanza 29327/2017).
Nel proporre ricorso per cassazione, la società italiana, tra l’altro, ha chiesto alla Suprema corte di sottoporre all’esame della Corte di giustizia Ue la suddetta interpretazione, per vagliarne la conformità all’articolo 3, comma 1, della direttiva 85/374/Cee.
La Cassazione ha accolto l’istanza pregiudiziale e ha formulato il seguente quesito: «Se sia conforme all’articolo 3, comma 1, direttiva 85/374/Cee – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore».
La questione è rilevante sia sotto il profilo teorico che sotto il profilo pratico, anche perché la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, presentata il 28 settembre 2022, volta a modificare la materia della responsabilità per danno da prodotti difettosi, pur aggiornando molte delle definizioni rilevanti e introducendo la nozione di «fabbricante», non affronta il profilo sollevato dalla Cassazione.