Responsabilità

Responsabilità medica: danno parentale iure proprio ed esclusione del contratto con effetti protettivi verso terzi

Nota a Corte di Cassazione civ., sez.VI, ordinanza del 26 luglio 2021 n. 21404

Mario Benedetti, Alessandro D'Achille

Tratto da " Responsabilità e Risarcimento - Il Mensile ", 1 ottobre 2021, n. 6 di Avv. Mario Benedetti, Partner BLB Studio Legale e Dott. Alessandro D'Achille

Corte di Cassazione civ., sez.VI, ordinanza del 26 luglio 2021 n. 21404
In materia di responsabilità della struttura ospedaliera, la lesione per perdita o lesione del rapporto parentale ha natura extracontrattuale, non estendendosi gli effetti protettivi del contatto sociale a coloro che non rivestono la qualità di parte negoziale. Soltanto nei casi di danni da nascita indesiderata è predicabile la figura dei cc.dd. terzi protetti dal contratto
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L'art. 2947 c.c., quando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine di prescrizione stabilito dalla legge penale, si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, e si applica, perciò, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile contro coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità diretta come, nella specie, contro un ente ospedaliero per fatto illecito di un medico dipendente.

In materia di responsabilità medica, costituisce ius receptum il principio secondo cui la responsabilità della struttura sanitaria deve qualificarsi in termini di responsabilità da ‘‘contatto sociale'' avente natura contrattuale. La struttura ospedaliera risponde del danno ex art. 1228 c.c., essendo irrilevante la sua natura pubblica o privata. Tale regime, rimasto sostanzialmente inalterato dopo l'entrata in vigore della Legge 189/2012 - c.d. Legge Balduzzi, art. 3 - è stato financo codificato dall'art. 7, co. I, della successiva Legge Gelli Bianco n. 24 del 2017 che ha delineato una duplice natura della responsabilità - regime del c.d. doppio binario -: la struttura risponde dell'operato degli esercenti professioni sanitarie ex artt. 1218-1228 c.c., mentre l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ex art. 2043 c.c..

Come la Suprema Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, la morte di un prossimo congiunto determina per i familiari superstiti un danno iure proprio - cfr. Cass. 30.08.2019 n. 21837 -, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, in conseguenza dell'irreversibile venir meno del godimento del rapporto personale con il congiunto defunto - c.d. danno da perdita del rapporto parentale - anzitutto - anche se non solo - nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale - cura, amore - cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell'altro. Inoltre, e per quanto qui più rileva, in ordine alla qualificazione del diritto che i congiunti vantano, autonomamente sebbene in via riflessa, ad essere risarciti dalla medesima struttura dei danni direttamente subiti a causa dell'esito infausto dell'operazione cui è stato sottoposto il danneggiato principale, lo stesso si colloca nell'alveo della responsabilità extracontrattuale e, pertanto, è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., non potendo costoro giovarsi del più lungo termine di cui gode la vittima primaria in virtù del diverso inquadramento, contrattuale, del rapporto tra la stessa ed il soggetto responsabile - cfr. Cass. n. 14258/2020, Cass. n. 5590/2015 -.

Tuttavia, secondo quando stabilito dall'articolo 2947 c.c., se il fatto illecito è considerato dalla legge come reato e per tale reato è previsto un termine di prescrizione più lungo, tale termine deve essere applicato anche all'azione civile. Da ciò discende che quando la domanda giudiziale è prospettata come astrattamente riconducibile al delitto di omicidio colposo ex art. 589 c.p., la prescrizione per il danno subito dai congiunti della vittima iure proprio è decennale, trattandosi di un reato a prescrizione decennale.

Dal diritto esercitato iure proprio va tenuto distinto il diritto esercitato iure hereditatis, attivato per ottenere il risarcimento dei danni fisici, patrimoniali, non patrimoniali, biologici e morali subiti dal congiunto defunto in seguito ad illecito. In tale caso, la pretesa risarcitoria del danno direttamente patito dal soggetto ancora in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento iure hereditatis a seguito del decesso, soggiace alla diversa disciplina della tutela contrattuale e al diverso termine di prescrizione decennale.

Nel caso che ha formato oggetto della sentenza in commento, i Sig.ri [omissis] avevano adito il Tribunale di Verona per accertare la responsabilità dell'Azienda Ospedaliera [omissis] per fatto del personale medico e paramedico, e sentirla condannare al risarcimento dei danni dagli stessi patiti in conseguenza della morte della loro bambina, nata il 24 luglio 2001 e deceduta il successivo 28 ottobre, all'esito di due interventi chirurgici alla quale la stessa fu sottoposta ‘‘a pochi mesi di vita'' e ‘‘resisi necessari a causa dell'artesia congenita delle vie biliari'', ovvero della ‘‘gravissima malformazione epatica che affliggeva la bimba dalla nascita''. Segnatamente, i genitori avevano instaurato il giudizio per conseguire il ristoro dei danni patiti sia iure proprio da perdita del rapporto parentale, sia - come precisato nella loro prima memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c. - iure hereditatis per il danno risarcibile ‘‘ex se da perdita della vita, risentito dagli attori stessi in ragione della loro qualità e del vincolo familiare che indissolubilmente li lega alla figlioletta''.

Il giudice di prime cure aveva rigettato la domanda, dichiarando l'avvenuta maturazione del termine quinquennale di prescrizione ex art. 2947 c.c.. Gli attori soccombenti avevano quindi impugnato la sentenza di primo grado innanzi alla Corte di Appello di Venezia, dolendosi, da un lato, dell'omessa pronuncia sul capo della domanda afferente il ristoro dei danni patiti - oltre che iure proprio - ‘‘iure hereditatis con applicazione del relativo termine prescrizionale'' e, dall'altro lato, dell'enunciazione del principio di diritto secondo cui è da ritenersi escluso che ‘‘la responsabilità contrattuale da contatto sociale, sussistente a carico dell'ente ospedaliero nei confronti del paziente'' possa ‘‘estendere i suoi effetti anche in favore di soggetti terzi, con conseguente applicabilità del termine di prescrizione decennale''.

La sentenza della Corte lagunare rigettava l'appello; avverso la stessa i signori [omissis] interponevano ricorso per Cassazione, affidato a due motivi:
1) la mancata estensione degli effetti protettivi della responsabilità da contatto sociale, non soltanto in riferimento alla persona soggetta alle cure, ma anche ai genitori, con conseguente applicazione del più lungo termine di prescrizione decennale;
2) la violazione dell'art. 2947 co. III per mancata applicazione del termine di prescrizione decennale riferibile al reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p..

Le motivazioni della Sesta Sezione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte regolatrice ha ritenuto infondato il primo motivo e fondato il secondo. Nel negare l'estensione degli effetti protettivi del contatto sociale a coloro che non rivestono la qualità di parte negoziale, la Sesta Sezione ha richiamato due precedenti giurisprudenziali - non massimati - che riconducono sotto l'egida dell'art. 2043 c.c. la domanda risarcitoria da lesione del rapporto parentale - Cass. n. 5590/2015; Cass. n. 6914/2012 -.

Con specifico riferimento alla configurabilità del contratto con effetti protettivi del terzo, la Suprema Corte ha escluso - eccezion fatta per l'ambito della procreazione come si avrà a dire infra - che i congiunti possano far valere una responsabilità per danni iure proprio nei confronti della struttura o del professionista sanitario. Ed invero, ha sottolineato la S.C., l'ambito di configurabilità della figura dei c.d. ‘‘terzi protetti dal contratto'' deve considerarsi perimetrato al ‘‘solo ‘‘sottosistema'' in cui vengono in rilievo quelli che, nel modo di lingua inglese, vengono definiti come ‘‘wrongful birth damages'''' - così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 8 luglio 2020, n. 14258 -, da ciò conseguendo che al di fuori di questi casi l'azione per perdita - o lesione - del rapporto parentale è di natura solo aquiliana - cfr. anche Cass. Sez. III, sent. n. 146515/2020, non massimata -.

Ed invero, ha soggiunto la Corte, ‘‘il tratto distintivo della responsabilità contrattuale risiede nella premessa della relazionalità, da cui la responsabilità conseguente alla violazione di un rapporto obbligatorio'', in guisa che il danno derivante dall'inadempimento dell'obbligazione non richiede la qualifica dell'ingiustizia, che si rinviene nella responsabilità extracontrattuale, perché la rilevanza dell'interesse leso dall'inadempimento non è affidata alla natura di interesse meritevole di tutela alla stregua dell'ordinamento giuridico, come avviene per il danno ingiusto di cui all'art. 2043 c.c. - secondo quanto chiarito da Cass. SS. UU., sent. n. 500/1999 -, ‘‘ma alla corrispondenza dell'interesse alla prestazione dedotta in obbligazione (arg. ex art. 1174 c.c.)'', essendo, quindi, ‘‘la fonte contrattuale dell'obbligazione che conferisce rilevanza giuridica all'interesse regolato'' - in questi termini cfr. Cass. Sez. III, sent. n. 28991/2019 -.

In tale ottica, gli ermellini hanno manifestato l'esigenza di ribadire il principio secondo cui nel ‘‘territorio del facere professionale'' - come lo ha definito la Suprema Corte - ‘‘l'interesse corrispondente alla prestazione'' si presenta ‘‘solo strumentale all'interesse primario del creditore'' stesso - ovvero, nel caso della prestazione sanitaria, la tutela della sua salute - il quale, tuttavia, ‘‘non ricade nel motivo irrilevante dal punto di vista contrattuale perché non attiene alla soddisfazione del contingente ed occasionale bisogno soggettivo ma è connesso all'interesse regolato già sul piano della programmazione negoziale e dunque del motivo comune rilevante al livello della causa del contratto'' - cfr. Cass. n. 28991/2019 -. Pertanto, per poter predicare l'efficacia protettiva del contratto verso terzi è necessario che ‘‘l'interesse di cui essi siano portatori risulti strettamente connesso a quello regolato già sul piano della programmazione negoziale''.

Al riguardo, non vi è dubbio che la struttura sanitaria sia legata da rapporto contrattuale al paziente ospite e che, dunque, abbia stipulato un contratto atipico di assistenza sanitaria da cui discendono tutta una serie di prestazioni - arg. ex art. 1374 c.c. - che la struttura deve erogare in favore del paziente stesso. Pertanto, il paziente rimane l'unica parte contrattuale e, come tale, l'unico titolare di un autonomo diritto al risarcimento del danno di natura contrattuale, non dispiegando il negozio alcun effetto protettivo verso terzi. Diversamente, la figura del contratto con effetti protettivi verso terzi è ritenuta configurabile dalla giurisprudenza della S.C. - solo - con riguardo al contratto della gestante con l'ospedale, e dunque per riconoscere al padre del nascituro ed a quest'ultimo l'azione da contratto in caso di inadempimento, con esclusione di ogni diversa altra fattispecie - cfr. Cass. n. 14258/2020; Cass. n. 10812/2019; Cass. n. 5590/2015; Cass. n. 10741/2009 -.

Nel caso suddetto, la figura del contratto con effetti protettivi verso terzi è giustificata con l'argomento che il terzo vanta un interesse identico a quello dello stipulante, un interesse che viene coinvolto dalla esecuzione del contratto nello stesso modo in cui è coinvolto l'interesse della parte contrattuale - ossia del creditore - della prestazione.

Nel contratto tra la struttura e la gestante, l' interesse di quest'ultima è la nascita del figlio: la donna si affida alla struttura sanitaria - o al medico - allo scopo di avere assistenza al parto. L'esecuzione del contratto, si osserva, soddisfa - o lede, in caso di inadempimento - l'interesse dell'altro genitore allo stesso modo di come soddisfa - o lede - l'interesse della gestante contraente. Non v'è dunque motivo di riconoscere azione da contratto all'una ed azione da delitto all'altro - cfr. in questi termini, Cass. n. 19188/2020 -.
Non ricorrendo questa specifica ipotesi nel caso de quo, il motivo di ricorso è stato rigettato.

La Corte ha invece ritenuto fondato il secondo motivo di censura. Ed invero, posto che la domanda giudiziale era stata prospettata come astrattamente riconducibile, in tutti i suoi elementi soggettivi ed oggettivi, al delitto di omicidio colposo ex art. 589 c.p. - leggendosi, nella stessa, che la responsabilità della struttura ospedaliera fosse da ricondursi al ‘‘fatto del personale medico e paramedico imputabile allo stesso per colpa'' -, il termine di prescrizione, facendo applicazione dell'art. 2947, co. III, c.c. avrebbe dovuto considerarsi decennale, in ossequio al termine di prescrizione previsto per il delitto di omicidio colposo dall'art. 157 c.p. nella versione applicabile ratione temporis - ossia prima della modifica apportatavi dalla L. n. 251/2005 -.

Ed invero, alcun pregio può essere riconosciuto all'assunto di controparte secondo cui il termine di prescrizione previsto dall'art. 2947, co. III, c.c. potrebbe essere invocato esclusivamente nei riguardi dei presunti autori del reato, ossia i sanitari, ma non anche nei confronti della struttura. A tale ultimo riguardo, la Suprema corte ha infatti rinvigorito il principio di diritto - già espresso da Cass. n. 729/1989; Cass. n. 4937/1978; Cass. n. 1941/1977 - a tenore del quale: ‘‘L'art. 2947 c.c., quando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine di prescrizione stabilito dalla legge penale, si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, e si applica, perciò, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile contro coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità diretta come, nella specie, contro un ente ospedaliero per fatto illecito di un medico dipendente''. Avendo, nella specie, i ricorrenti interrotto il termine di prescrizione decennale con missiva datata 21.10.2011, la Corte di Cassazione, in accoglimento di questo motivo di ricorso, ha cassato la decisione con rinvio.

Osservazioni conclusive

La pronuncia in commento si inserisce nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità che è del costante avviso pe cui, nel campo della responsabilità da malpractice sanitaria, la figura del contratto con efficacia protettiva verso il terzo non ha ragion d'essere, motivo per cui le pretese azionate ‘‘iure proprio'' dai congiunti del paziente, unica parte contrattuale, devono essere fatte valere ai sensi dell'art. 2043 c.c. - cfr. Cass. Sez. III, n. 14258/2020 -. Fa eccezione l'ipotesi di ricovero della gestante, in occasione del quale l'ente ospedaliero si obbliga non soltanto a prestare alla stessa le cure e le attività necessarie al fine di consentirle il parto, ma altresì ad effettuare, con la dovuta diligenza e prudenza, tutte quelle altre prestazioni necessarie al feto - ed al neonato -, così da garantirne la nascita, evitandogli - nei limiti consentiti dalla scienza, da valutarsi sotto il profilo della perizia - ogni possibile danno, del quale, altrimenti, risponderà sul piano contrattuale una volta che il nascituro venga ad esistenza, quantunque il medesimo sia rimasto estraneo al contratto - cfr., per tutte, Cass. Sez. III, n. 11503/1993 -.

"Responsabilità e Risarcimento - Il Mensile", 1 ottobre 2021, n. 6, di Avv. Mario Benedetti, Partner BLB Studio Legale e Dott. Alessandro D'Achille

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