Riconosciuto anche il danno morale «catastrofale» a chi resta lucido nell’agonia
Quando risulta accertato che la persona sia rimasta lucida nello spazio temporale intercorrente tra la lesione e la morte, il danno non patrimoniale è risarcibile non solo sotto il profilo biologico, inteso come lesione al bene «salute», ma anche sotto il profilo morale, inteso come sofferenza psicologica, agonia. Lo ha deciso la Cassazione con la sentenza 23153 del 17 settembre 2019.
La vicenda
Il caso trae origine dal decesso di un uomo causato dallo schiacciamento provocato da un veicolo motopala e dal giudizio instaurato dai suoi prossimi congiunti per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Il Tribunale di Fermo riconosce in capo ai congiunti, oltre al danno patrimoniale, il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale. Viene, invece, escluso - anche in appello - il diritto degli eredi al risarcimento iure hereditatis del danno morale catastrofale subito dal defunto a causa della morte avvenuta dopo diverse ore dal sinistro stradale.
I congiunti ricorrono allora per Cassazione adducendo quale unico motivo la violazione degli articoli 2056 e 2059 del Codice civile da parte della Corte d’appello per avere respinto la richiesta di danno catastrofale, rilevando che il periodo di sopravvivenza della vittima, pari a circa 2 ore e 30 minuti dall’evento, non configurava l’apprezzabile lasso di tempo richiesto per la configurabilità di questa voce di danno, senza tuttavia fare alcun riferimento al profilo della lucidità e della capacità di percezione della ineluttabilità della propria condizione e della prossimità della morte da parte del danneggiato.
La decisione
La Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza con rinvio, avendo accertato la violazione da parte della Corte d’appello dell’articolo 2043 del Codice civile per avere escluso il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale rappresentato dall’agonia patita dal defunto sotto il profilo psicologico-morale del danno catastrofale, danno sorto in capo a quest’ultimo quando era ancora dotato di capacità giuridica e poi trasmesso iure hereditatis agli eredi.
La Corte conferma l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, originato con la sentenza a Sezioni Unite 15350/2015, secondo cui i danni non patrimoniali risarcibili alla vittima, trasmissibili agli eredi in caso di decesso, sono a) il danno biologico (c.d. danno terminale) determinato dalla lesione al bene salute, che consiste nei postumi invalidanti che hanno caratterizzato la durata del periodo di vita della vittima dalla lesione fino alla morte e b) il danno morale soggettivo (c.d. danno catastrofale), che consiste nello stato di sofferenza sopportato dalla vittima nell’assistere al progressivo avvicinarsi della morte.
La prima voce di danno (danno biologico) è risarcibile solo quando venga accertato che tra la lesione e la morte sia intercorso un «apprezzabile lasso di tempo», non essendo rilevante che durante tale periodo la vittima abbia mantenuto lucidità.
Al contrario, la lucidità della vittima è presupposto imprescindibile per la configurazione del danno catastrofale, inteso appunto come sofferenza che si prova per la consapevole percezione dell'ineluttabile approssimarsi della morte.
Dunque, se nel tempo intercorrente tra la lesione e il decesso, la persona non è in grado di percepire la sua situazione, il danno non patrimoniale sarà solo quello riconducibile al danno biologico (c.d. danno terminale); se, invece, la persona è in una condizione di “lucidità agonica”, si aggiunge anche il danno morale catastrofale.
Cassazione, sentenza 23153 del 17 settembre 2019