Civile

Risarciti marito e figli della casalinga deceduta per il mancato futuro lavoro in famiglia

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di Filippo Martini

La sentenza del tribunale di Milano ha affrontato il tema del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ai congiunti stretti di una giovane mamma deceduta a causa di un grave sinistro stradale. La vicenda riguardava un investimento di pedone, avvenuto fuori dalle strisce pedonali in centro abitato e in orario notturno, in conseguenza del quale la vittima riportava lesioni gravi alle quali non sopravviveva.
Agivano in giudizio il coniuge, i figli e i genitori della vittima, per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dell'evento, mentre resisteva l'impresa di assicurazione del conducente dell'autoveicolo investitore,deducendo un concorso di colpa del pedone per avere attraversato la sede stradale in zona con scarsa illuminazione e senza avvalersi degli appositi attraversamenti pedonali. Il tribunale era così chiamato a decidere tanto sul profilo della condotta dei soggetti coinvolti nel fatto, quanto sulle partite di danno risarcibili e generati dal grave sinistro.

La liquidazione del risarcimento - Nella liquidazione del quantum risarcibile al nucleo familiare di origine colpito dalla improvvisa privazione affettiva, il tribunale aderisce alla prassi giurisprudenziale che porta a ritenere, entro i margini di oscillazione propri della funzione personalizzatrice del danno rimessa al giudice, congrue le somme previste dalla tabella milanese per i danni da privazione del rapporto parentale in capo ai congiunti più stretti.
Ove la sentenza si segnala per una certa peculiarità è laddove il giudice ha affrontato il tema della privazione della contribuzione economica della vittima (una giovane donna) all'economia domestica, sotto forma di espletamento delle incombenze quotidiane di una casalinga. Osserva infatti il tribunale che «quanto al lamentato pregiudizio per il mancato apporto in futuro dell'attività di casalinga della defunta, deve ritenersi che indubbiamente può riconoscersi tale pregiudizio con riferimento all'apporto della figura della defunta quale madre e moglie nel compendio familiare, senza alcun svilimento di tale figura e con riferimento alle incombenze di natura prettamente materiale quali la cura e la pulizia della casa che debbono essere svolte con l'impiego di una colf».Con la precisazione che «verosimilmente deve ritenersi che tale pregiudizio sia limitato nel tempo, stante il prevedibile raggiungimento di autonomia dei figli in corrispondenza della fine del periodo di studi».

Le osservazioni - Invero la decisione appare conforme e attenta alla disciplina giurisprudenziale del risarcimento del danno patrimoniale in capo agli eredi o ai congiunti, della vittima principale. In linea di disciplina generale, sono molteplici, infatti, le possibili ripercussioni di carattere patrimoniale conseguenti alla morte o alla grave invalidità di soggetto vittima di illecito, nel contesto delle cosiddette vittime secondarie, tra le quali sono da ricomprendersi sia i componenti della famiglia legittima, sia quelli della famiglia naturale (convivente more uxori0).
Il danno patrimoniale riflesso - In quest'ottica può definirsi danno patrimoniale riflesso quello conseguente alla cessazione o riduzione delle utilità economiche che il danneggiato primario assicurava o avrebbe verosimilmente assicurato a coloro che si trovavano a vivere un rapporto di solidarietà e attiguità domestica. Si tratta di un danno da lucro cessante che trova la propria genesi nella morte o grave invalidità della vittima primaria dell'illecito, le quali, rispettivamente in tutto o in parte, impediscono il protrarsi della contribuzione economica o comunque il suo futuro apporto. La fonte di tale contribuzione può avere natura legale o anche semplicemente consuetudinaria (si pensi, quanto alla prima, agli obblighi di mantenimento di cui agli articoli 143 e 147 del codice civile, e, quanto alla seconda, a una erogazione meramente spontanea che avveniva in difetto di qualsivoglia vincolo od obbligo giuridico).

La titolarità soggettiva - Circa la titolarità soggettiva di questa voce di danno, la giurisprudenza, che da tempo ha anticipato i temi di grande attualità in questo momento, ritiene cheil risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetti non solo ai membri della famiglia legittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, a condizione che si dimostri l'esistenza di uno stabile e duraturo legame affettivo che, per la significativa comunanza di vita e di affetti, sia equiparabile al rapporto coniugale (Cassazione 16 luglio 2014 n. 3654. In senso conforme si vedano Cassazione 21 marzo 2013 n. 7128 e 7 giugno 2011 n. 12278).

La prova del pregiudizio - Quanto alla prova di questa categoria di danno patrimoniale, si può senza ombra di dubbio affermare che lo stesso non può ritenersi sussistente in re ipsa. La Suprema corte sul punto ha infatti espressamente statuito che: «a norma dell'art. 2043 c.c., ai prossimi congiunti di un soggetto, deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo, compete il risarcimento del danno anche patrimoniale, purché sia accertato in concreto che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui presumibilmente, avrebbero continuato a beneficiare» (Cassazione 8 marzo 2006 n. 4980).

Il contributo economico prestato dalla vittima - Secondo i principi sopra tracciati, pertanto, la giurisprudenza ritiene che ai fini del risarcimento di tale danno patrimoniale vada considerato solo il contributo economico prestato dalla vittima per quelle voci della gestione familiare non sostituibili a seguito del decesso. Così, ad esempio, la Cassazione ha, sul punto, precisato che: «il danno va esaminato non con riguardo alla somma che presumibilmente la vittima apportava alla comunione familiare, poiché parte di questa somma era destinata a consumi, in senso lato, che essa stessa realizzava, per quanto nell'ambito familiare (ad esempio quello alimentare), ma con solo riferimento a quelle voci di spesa che, nonostante la scomparsa del coniuge, non si sono contratte e che l'attore, coniuge superstite, ha dovuto sostenere da solo» (Cassazione 28 agosto 2009 n. 18800). Sulla base di tali regole generali, dunque, non stupisce che il tribunale di Milano, nella decisione in commento, abbia riconosciuto qualifica di danno patrimoniale al pregiudizio subito dai congiunti della vittima principale, mettendo in evidenza la questione che potremmo definire della perdita di utilità economicamente apprezzabili per l'economia domestica. Può accadere infatti che la vittima secondaria pur non subendo una perdita strettamente monetaria, lamenti comunque un danno conseguente alla perdita di altra contribuzione comunque suscettibile di valutazione economica. Tra queste, prima tra tutte, quella conseguente al decesso o alla grave invalidità della casalinga, la quale, pur non svolgendo attività remunerata, apporta comunque una utilità al menage familiare. È la connotazione economica che rileva dunque ai fini del risarcimento del lucro che cessa e che va accertato dal giudice sotto l'aspetto della modifica sostanziale del regime economico del nucleo primario prima e dopo l'evento e l'azione illecita del responsabile: se il congiunto richiedente sia in grado di dimostrare (anche con il ricorso al sistema delle presunzioni) che la presenza pre-evento della vittima contribuiva in modo costante e sostanziale alla conduzione della vita familiare secondo le incombenze proprie domiciliari della casalinga, tale circostanza dovrà portare alla rilevanza patrimoniale della privazione subita.

La quantificazione del ristoro - Circa la quantificazione del danno, infine, la stessa decisione appena illustrata riassume i due criteri di determinazione (anche presuntiva) della privazione economica le quali sono valutabili economicamente, o facendo riferimento al criterio del triplo della pensione sociale o ponendo riguardo al reddito di una collaboratrice familiare (con gli opportuni adattamenti per la maggiore ampiezza di compiti esercitati dalla casalinga). Da notare inoltre che «detto diritto spetta anche nei casi in cui la vittima si sia avvalsa di aiuti o collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente» (Cassazione n. 22909 del 2012). Nel caso specifico, il tribunale di Milano ha liquidato la somma preventivamente capitalizza a titolo di danno da lucro cessante futuro, nella misura di 50mila euro «tenuto conto della documentazione prodotta dagli attori afferente l'assunzione di una colf», per sostituire le utilità professionali svolte dalla vittima quando era in vita.

Tribunale di Milano – Sezione X civile – Sentenza 11 febbraio 2016 n. 1845

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