Rumori, la testimonianza non basta
Il condòmino può testimoniare per il rumore ma non sempre è creduto. Quando nasce un contenzioso sulla «soglia di tollerabilità» va ricordato che questa va stabilita dal giudice, contemperando le esigenze della produzione con quelle della proprietà; ma la molestia rumorosa non può essere accertata in modo arbitrario. Vale a dire che il giudice, per emettere la sentenza, può basarsi sulla prova testimoniale dei danneggiati, purché la loro deposizione risponda a criteri di verità e di obiettività e il giudice non si affidi a valutazioni soggettive, disancorate dalla realtà dei fatti.
Tale è la lezione che la Corte di cassazione (ordinanza 20112/2019) ha dettato, respingendo il ricorso di due condòmini che sostenevano di avere abitato per quattro anni in un appartamento dove, nell’alloggio al piano superiore, i vicini si erano resi responsabili, soprattutto nelle ore notturne e di quiete del primo pomeriggio, di rumori di ogni genere che non solo provocavano loro danni permanenti alla salute, di particolare gravità ed accertati con una perizia medico – legale, ma che, pure, li costringevano a cambiare abitazione.
I vicini però negavano e giudice di pace e tribunale rigettavano la domanda in quanto riteneva non raggiunta la prova dell’effettiva esistenza delle immissioni rumorose. Il tribunale, in particolare, precisava che le testimonianze non erano decisive per provare i rumori lamentati, anche perché altre testimonianze davano conto della sporadica presenza diurna e notturna dei vicini sotto accusa nonché della contemporanea presenza di altre fonti di immissioni moleste.
La Cassazione ha quindi seguito il ragionamento del tribunale che, esercitando il suo potere discrezionale, aveva accertato l’esistenza della prova documentale e testimoniale circa il fatto che i vicini convenuti, negli anni a cui si riferiva la domanda risarcitoria, per lunghi periodi non stati presenti nell’appartamento.
Corte di cassazione – Ordinanza civile 20112/2019