Penale

“Saluto romano”, quando scatta la doppia fattispecie di reato

Le Sezioni Unite hanno depositate le motivazioni della sentenza (n. 16153 del 17 aprile 2024) chiarendo che per integrare il reato previsto dalla “legge Scelba” serve il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista. In presenza di manifestazioni di incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi può scattare anche il reato previsto dalla legge Mancino

di Francesco Machina Grifeo

Depositate le motivazioni della sentenza sul “saluto romano” (n. 16153 del 17 aprile 2024). Per le Sezioni unite la condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel cosiddetto “saluto romano”, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall’articolo 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645 (legge Scelba), ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

Tale condotta, precisa la Corte, può integrare anche il delitto, di pericolo presunto, previsto dall’articolo 2, comma 1, Dl n. 122 del 26 aprile 1993, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (legge Mancino), ove tenuto conto del significativo contesto fattuale complessivo, la stessa sia espressiva di manifestazione propria o usuale delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’articolo 604-bis, secondo comma, cd. pen, (Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa).

Si tratta infatti due reati distinti, disciplinati da norme diverse, e che tutelano beni diversi ma che si compiono entrambi attraverso la partecipazione a pubbliche riunioni: le prime nei modi usuali del disciolto partito fascista; le seconde in quelli propri di movimenti, gruppi o associazioni aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza. Sicchè “ad un nucleo comune” si affianca “un elemento di sicura differenziazione”.

Tra i due delitti non sussiste rapporto di specialità ed essi possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge.

In occasione di una manifestazione pubblica nei giardini antistanti la Chiesa di S. Nereo e Achilleo, organizzata a Milano il 29 aprile 2016, in memoria di Enrico Pedenovi, Sergio Ramelli e Carlo Borsani, gli imputati avevano risposto alla chiamata del “presente” eseguendo il “saluto fascista”, noto anche come “saluto romano” (il primo era consigliere provinciale del Movimento sociale, ucciso nel 1976; il secondo, giovane militante del Fronte della Gioventù, ucciso nel 1975 e il terzo, militante della Repubblica Sociale Italiana, ucciso nel 1945). Alla manifestazione partecipavano circa milleduecento persone.

In primo grado, il Tribunale, dopo aver ritenuto sussistenti gli elementi di reato indicati dalla legge Mancini, aveva tuttavia rilevato il difetto dell’elemento soggettivo ritenendo sussistente un errore scusabile proprio per via della oscillazione giurisprudenziale. La Corte di Appello, riformando la decisione, ha invece condannato gli imputati a due anni di reclusione, ritenendo al contrario che il saluto romano integrasse per orientamento univoco il reato di odio razziale. Proposto ricorso, la Prima Sezione penale ha rinviato la questione alle S.U. affermando che lo stesso andamento del giudizio di merito “appare emblematico del contrasto che giustifica la rimessione alle Sezioni Unite”

Per il Massimo consesso il ricorso degli imputati è fondato nella parte in cui deduce l’erronea qualificazione giuridica della condotta come una violazione della legge Mancino (articolo 2 legge n. 205 del 1993) anzichè della legge Scelba (articolo 5, legge n. 645 del 1952). “Entrambe le pronunce dei giudici di merito - scrive la Corte -, dopo avere chiarito che la “chiamata del presente” da parte di uno dei partecipanti alla pubblica riunione e la risposta ad essa con contestuale effettuazione del “saluto romano” devono ritenersi manifestazioni esteriori del disciolto partito fascista, non potendo dubitarsi del “rimando” di tale complessiva ritualità alla «iconografia fascista con la finalità di evocarne e pubblicamente esaltarne gli ideali», hanno incongruamente ritenuto, in difformità ai principi sopra ricordati, oggettivamente integrato non già il reato di cui all’art. 5 legge Scelba, bensì quello dell’art. 2 legge Mancino, senza peraltro evidenziare, tanto più alla luce delle finalità della riunione, chiaramente volta a celebrare il ricordo, tra gli altri, di esponente della Repubblica Sociale Italiana, elementi indicativi della finalità, attraverso tale celebrazione, di propagandare, in sé, le idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale ed etnico e sulla violenza”.

“Affinché il rituale espresso nelle manifestazioni di cui all’art. 5 legge cit. possa integrare anche il reato di cui all’art. 2 legge cit. – spiega la Cassazione -, occorrerà che ad esso si accompagnino elementi, relativi al contesto complessivo in cui lo stesso sia tenuto, idonei ad attribuirgli non la sola funzione semplicemente evocativa del disciolto partito fascista - e, dunque, ove ricorrente il pericolo concreto richiesto, incitativa della sua ricostituzione - ma anche, a fronte del contesto materiale o dell’ambito nel quale la manifestazione ha luogo, il significato discriminatorio tipizzante il reato di cui all’art. 2 cit.”. “Sotto tale profilo, dunque, altro sarebbe che il gesto sia effettuato nello stretto ambito di un contesto chiaramente connotato (per le modalità e le finalità della riunione nonché per i simboli impiegati) dal riferimento a fatti direttamente o indirettamente ricollegabili all’ideologia fascista, altro, invece, sarebbe il medesimo gesto ove tenuto in ambiti di tipo diverso, nei quali il ricorso a tale rituale costituisca “lo strumento simbolico” di espressione delle idee di intolleranza e discriminazione proprie, nell’attualità, degli agglomerati considerati dall’art. 3 legge n. 654 del 1975”.

In definitiva, “mentre nel primo caso il rituale esibito sarebbe finalizzato ad esternare unicamente l’ideologia propria del disciolto partito fascista, nel secondo avrebbe anche la valenza, implicita, ma chiara, di esternazione delle ideologie di cui alle entità individuate dall’art. 3 cit., nel segno di una contrapposizione ispirata ad idee chiaramente incompatibili con i principi costituzionali”. “Sicché, ben può ritenersi che, in tali limiti, e in tali casi, il rituale del saluto romano possa integrare non il solo reato di cui all’art. 5 legge cit., bensì anche quello dell’art. 2 legge cit., ove di entrambe le fattispecie, naturalmente, ricorrano i rispettivi e differenti requisiti di pericolo già illustrati sopra”.

Ciò comporta, prosegue la decisione, la riqualificazione del reato e l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Milano.

Le Sezioni unite bocciano invece il motivo relativo alla insussistenza dell’elemento soggettivo affermando che il “contrasto giurisprudenziale” non può integrare l’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale che rende la condotta scusabile. Al contrario, scrive la Corte, il dubbio sulla liceità o meno “deve indurre un atteggiamento più attento, che giunga fino alla astensione”.

Infine, la Cassazione precisa che considerando le diverse sospensioni (per impedimento dei difensori e per il Covid) al momento della decisione, il 18 gennaio scorso, il reato non era prescritto, essa maturando soltanto il 28 febbraio. Il deposito delle motivazioni però è avvenuto il 17 aprile 2024.

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