Sanità, il "cambio di consegne" del paziente rientra nell'orario di lavoro
Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25477 depositata oggi, applicando il principio ad una cooperativa di lavoratori attivi nell'ambito sanitario all'interno di una Rsa
Il tempo per il passaggio di consegne nel cambio turno degli infermieri rientra nel tempo lavorativo e va dunque remunerato. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25477 depositata oggi, applicando il principio ad una cooperativa di lavoratori attivi nell'ambito sanitario all'interno di una residenza per anziani (Rsa).
Per la Sezione lavoro, nell'ambito dell'attività infermieristica, il cambio di consegne nel passaggio di turno, "in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all'esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest'ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro, sicché va considerato, di per se stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale". Il medesimo principio, prosegue il ragionamento, "può trovare applicazione nel caso di specie, in cui gli attuali controricorrenti erano tutti soci lavoratori adibiti presso una R.S.A. gestita dalla cooperativa ricorrente". I giudici d'appello, infatti, hanno accertato che per essi il passaggio di consegne "costituisca espletamento di mansione lavorativa giacché il cambio di consegne nel passaggio del turno è chiaramente connesso alle peculiarità del servizio espletato dagli odierni appellati".
Con riguardo invece all'abbigliamento richiesto, la decisione richiama un precedente in cui giudicando un caso relativo ad una fattispecie analoga - attività di assistenza presso una residenza per anziani, la quale, per sua natura, richiede che la divisa sia necessariamente indossata e tolta, per ragioni di igiene, presso il luogo di lavoro e non altrove -, la Cassazione aveva affermato che va computato nell'orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione aggiuntiva, il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione della divisa da lavoro ove tale operazione sia eterodiretta dal datore di lavoro.
Sempre sul cd "tempo tuta" un'altra decisione depositata oggi, la n. 25478, chiarisce ulteriori aspetti della questione affrontando il caso del personale viaggiante delle ferrovie. Nel rapporto di lavoro subordinato, si legge nella decisione, il tempo necessario a indossare l'abbigliamento di servizio ("tempo-tuta") costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l'attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell'obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo.
Ed è proprio questo il caso specifico considerato in questa seconda decisione dove, nonostante la predisposizione da parte della società di appositi locali per il cambio d'abito, esso poteva avvenire anche presso l'abitazione dei dipendenti e dunque in totale autonomia.
In particolare, scrive la Cassazione, "non è stata raggiunta la prova dell'imposizione in capo ai lavoratori dell'obbligo di indossare gli abiti da lavoro negli appositi spogliatoi aziendali, ben potendo gli stessi recarsi al lavoro e far ritorno a casa indossandoli". Per cui, all'esito dell'accertamento circa la concreta gestione del cd. tempo tuta presso Trenitalia s.p.a., la Corte territoriale ha escluso l'elemento dell'eterodirezione quale potere direttivo e organizzativo equiparabile al tempo di lavoro in cui si traduce la messa a disposizione atta a generare il corrispettivo obbligo di remunerazione. La Sezione lavoro ha invece accolto (con rinvio) la richiesta dei dipendenti che chiedevano il risarcimento del danno per il lavaggio in proprio delle divise.