Amministrativo

Scuole chiuse in Calabria e Basilicata, i Tar bloccano le Regioni: non si può alterare il quadro stabilito dal Dpcm

I Tribunali amministrativi bocciano il diverso apprezzamento del rischio epidemiologico e delle misure di contenimento in assenza di "particolari situazioni locali"

di Giulia Laddaga

I Tribunali Amministrativi Regionali continuano a "bocciare" i provvedimenti di chiusura delle scuole adottati dalle Regioni per far fronte all'emergenza epidemiologica da Covid- 19. Dopo la sospensione cautelare dell'ordinanza del Presidente della Regione Puglia, questa settimana è stata la volta della Calabria e della Basilicata, che si sono viste, rispettivamente, annullare e disporre il riesame delle ordinanze con le quali i Presidenti di Regione hanno disposto la sospensione in presenza di tutte le attività scolastiche di ogni ordine e grado.

Per molti aspetti sono sovrapponibili le argomentazioni a supporto delle due decisioni. In primo luogo, in entrambi i casi si tratta, come nella precedente vicenda pugliese, di decreti presidenziali. Come argomentato dal Presidente della Prima sezione del Tar Basilicata, la misura cautelare monocratica risponde meglio alle esigenze di celerità dettate dalla limitata validità temporale della misura adottata dalla Regione. Sebbene, secondo il giudizio del Giudice lucano, non sia stata dimostrata dai ricorrenti l'"estrema gravità ed urgenza" che legittimerebbe la misura cautelare monocratica, il provvedimento lesivo ha un orizzonte temporale che non raggiunge la data della prima camera di consiglio utile. Ne consegue la necessità di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale mediante l'utilizzo del decreto cautelare monocratico quale istituto idoneo ad assicurare una pronuncia allorquando ne sussiste ancora un interesse.

In secondo luogo, entrambe le ordinanze regionali impugnate sono intervenute dopo e nell' "ambito" del DPCM del 3 novembre 2020 che, nel prevedere nuove misure per il contrasto ed il contenimento dell'emergenza da Covid-19, ha contemplato le modalità di svolgimento dell'attività didattica ed educativa modulandone le forme in base alla situazione di rischio epidemiologico delle singole Regioni. In particolare, nel DPCM è stata fatta salva in ogni caso, anche per le aree caratterizzate da uno scenario di massima gravità (cd. zona rossa, come la Calabria) o di elevata gravità (cd. zona arancione, come la Basilicata), la didattica in presenza per la scuola dell'infanzia, per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo grado (solo il primo anno per la c.d. zona rossa, tutta per la c.d. zona arancione).

Entrambi i Tar contestano le chiusure generali operate dai provvedimenti regionali, in quanto valide per tutto il territorio regionale e per tutte le scuole di ogni ordine e grado, senza che tale decisione risulti supportata da particolari situazioni locali ovvero da dati epidemiologici che impongono misure più restrittive rispetto a quelle adottate a livello nazionale. In altre parole la Regione non può, secondo il Giudice amministrativo calabrese e lucano, in maniera generalizzata, modificare l'assetto organizzativo dell'attività scolastica alterando il quadro delle misure calibrate dal richiamato DPCM per effetto di un diverso apprezzamento dei parametri di rischio epidemiologico e delle misure di contenimento necessarie e sufficienti per fronteggiare la situazione individuata nei diversi "scenari" rappresentati e determinati dall'Autorità centrale.

Inoltre, secondo il TAR Basilicata, le misure adottate non sembrano prendere in considerazione le effettive capacità funzionali e operative, sotto il profilo organizzativo, delle risorse umane e delle dotazioni informatiche necessarie per la didattica a distanza che viene imposta con il provvedimento regionale. In altre parole il divieto della didattica in presenza viene equiparata, in pratica, ad una chiusura delle attività scolastiche, che invece con il DPCM si è voluto scongiurare, assumendo iniziative finalizzate, nell'apprezzamento della competente Autorità ministeriale, a garantire il diritto allo studio mediante lo svolgimento della didattica in presenza, pur negli scenari peggiori.

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