Se l'azione non viola alcun regolamento sportivo il giudice dovrà verificare che si sia rispettato il limite dettato dalla prudenza
Lo ha precisato la Cassazione con la sentenze 3284/2022
Con la sentenza n. 3284 del 31 gennaio 2022, i giudici della Sezione IV della Corte di Cassazione hanno annullato senza rinvio la pronuncia della Corte d'Appello di Firenze, con la quale era stata confermata la condanna del ricorrente, imputato per il reato ex articolo 590 c.p., per aver cagionato lesioni personali ad un avversario, durante una partita di pallone. Condividendo la tesi difensiva, il Collegio ha ritenuto sbagliato dedurre la volontarietà della violazione delle regole di gioco dalla gravità delle lesioni riportate dal calciatore.
Il rischio consentito
L'attività sportiva costituisce un interesse generale della collettività che, come tale, deve essere tutelato dall'ordinamento giuridico. La causa di giustificazione del cosiddetto rischio consentito viene largamente impiegata in ambito sportivo, in cui il contatto fisico – specialmente nelle pratiche "a violenza necessaria" – può compromettere l'incolumità degli atleti.
Trattasi di una scriminante atipica, non codificata, riconducibile nell'alveo del consenso dell'avente diritto, come disciplinato dall'articolo 50 c.p., ai sensi del quale "non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne". Nella declinazione "sportiva", il consenso dell'avente diritto si traduce nell'accettazione sia delle specifiche regole tecniche, sia del pericolo eventuale. A ciò si aggiunge il fondamentale principio di lealtà e di correttezza nei confronti dell'avversario, che costituisce valore comune a tutte le discipline sportive.
Il mancato rispetto dei canoni di comportamento
L'illecito sportivo inizialmente descritto dalla sentenza n. 3284/2022 coincide con la definizione offerta dalla precedente decisione n. 19473/2005, ossia come mancato rispetto sia dei generali canoni di comportamento, comuni a tutti gli sport, sia dello specifico regolamento della federazione d'appartenenza. Quest'ultimo costituisce fonte normativa secondaria che nel dettare le prescrizioni tecniche, volte a regolamentare l'uso della violenza per ottenere un certo risultato e far fronte all'avversario, ha il preciso compito di valutare ed individuare la ragionevole componente di rischio alla quale il tesserato accetta consapevolmente di esporsi.
Poiché non ogni illecito sportivo non si traduce automaticamente in un illecito penale, tale primo approccio è stato superato da un altro orientamento, secondo cui le lesioni personali arrecate dalla volontaria inosservanza del regolamento sportivo, per raggiungere il risultato o per ragioni estranee alla competizione, hanno rilevanza penale, mentre qualora la violazione della regola costituisca lo sviluppo di un'ordinaria azione di gioco, non essendoci la volontà di pregiudicare l'altrui incolumità, ma soltanto l'intenzione – illecita ed antisportiva – di raggiungere l'obiettivo agonistico, i fatti avranno natura colposa.
Anche la seconda impostazione non ha soddisfatto i giudici della Cassazione, i quali hanno ricordato che mentre la responsabilità sportiva è governata dai regolamenti, quella penale discende da una condotta dolosa o colposa del soggetto attivo.
Con la recente sentenza n. 14685/2020, la Cassazione, pur ponendosi su questa linea, sembra suggerire una nuova tendenza interpretativa: la Corte ha escluso l'applicabilità della scriminante sportiva qualora manchi un nesso funzionale tra evento lesivo e gara; nel caso di violenza sproporzionata ai connotati e alla natura della disciplina sportiva; nel caso in cui la finalità lesiva dell'agente prevalga su quella sportiva, a prescindere dalla violazione di specifiche regole di gioco.
I criteri di colpevolezza colposa
L'accettazione della regola sportiva e del relativo rischio non significa accettazione di una lesione all'integrità fisica derivante dalla condotta dolosa o colposa dell'avversario nel corso della competizione. Partendo da questo assunto, la sentenza 3284/2022 ha evidenziato la necessità di fare riferimento ai criteri generali sulla colpevolezza colposa: in caso di lesioni personali cagionate nel corso di una competizione, l'autorità chiamata a pronunciarsi, una volta riconosciuta la regola cautelare posta alla base della pratica sportiva, dovrà analizzare la doverosità del comportamento dalla stessa preteso. È condivisibile la conclusione secondo cui se il regolamento sportivo di una disciplina consente un certo tipo di azione a livello agonistico, non sempre può dirsi altrettanto a livello dilettantistico e amatoriale.
Secondo questa ricostruzione, al giudice penale spetta il compito di individuare sia la regola cautelare che impone al giocatore di astenersi dall'azione pericolosa, sia i limiti della sua applicabilità al caso specifico, in termini di prevedibilità dell'evento lesivo. In conclusione, una volta accertato che l'azione non costituisce illecito sportivo, perché non viola alcuna norma regolamentare, il giudicante dovrà assicurarsi che l'agente abbia rispettato il limite della prudenza, necessaria ad evitare pregiudizi fisici, in caso di azioni sportive eccesive.