Se il cliente fallisce dopo la chiusura della partita Iva strada stretta per il recupero degli anticipi
La sceltra tra mantenere per anni attiva la posizione e insinuarsi nel passivo per recuperare le imposte anticipate
Se il professionista (o il minimo, il forfettario, il semplificato) accetta di assolvere le imposte in chiusura di attività anche sugli importi non incassati (così come suggerisce in via generale l’agenzia delle Entrate), come recuperarle in caso si renda certa e definitiva la mancata liquidazione del compenso/ricavo?
È questo il caso, tra l’altro, di un professionista che abbia subito il fallimento di un proprio cliente proprio alle soglie della cessazione dell’attività (ipotesi questa tutt’altro che remota di questi tempi per effetto della crisi da Covid).
Il dilemma per lui può essere così sintetizzato:
•mantenere aperta la partita Iva per tutti gli anni in cui si prolunga la procedura fallimentare;
•oppure simulare l’incasso della prestazione e anticipare l’Irpef sul compenso insinuato nel passivo fallimentare.
In quest’ultimo caso, inoltre, qualora l’importo fosse già stato fatturato (e l’Iva, quindi, già liquidata), come fare a recuperare quest’ultima al momento della chiusura del fallimento, stante che l’articolo 26 Dpr 633/72 impedisce di far valere, prima di tale momento, l’intervenuta inesigibilità?
Le fattispecie rappresentate non sono casi limite, ma situazioni del tutto ordinarie, alle quali, tuttavia, il sistema normativo e le interpretazioni ad oggi fornite non riescono a trovare una soluzione soddisfacente. Occorre quindi che il legislatore intervenga per evitare che il professionista subisca, oltre al danno del mancato incasso, anche la beffa di dover anticipare le relative imposte senza sapere se e quando potrà recuperarle.
A queste considerazioni si potrebbe eccepire che un problema analogo, e per certi versi maggiore, si presenta anche in regime di competenza: si anticipano le imposte sui ricavi non incassati e si considera a debito l’Iva fatturata anche se non incassata.
Tuttavia, oltre ad osservare che due lacune normative non si compensano tra loro, va ricordato che nel reddito d’impresa, almeno, esiste il meccanismo delle perdite su crediti (articolo 101, comma 5) – peraltro riconosciuto applicabile anche nel regime semplificato col meccanismo del “registrato=incassato” (circolare 11/E/2017) – meccanismo che, ad esempio in situazioni di procedura concorsuale, permette di recuperare subito almeno la tassazione sul mancato ricavo.
Sull’Iva, in effetti, si attende solo che il legislatore italiano si adegui alle ripetute sentenza della Corte di giustizia per allinearsi a quanto già statuito con riferimento ai redditi. Ma per la situazione del professionista che chiude la partita Iva, ad oggi, rimedi all’orizzonte proprio non se ne vedono. Salvo considerare la risposta n. 299/2020 come “l'uovo di Colombo” e non come un caso del tutto peculiare.
La problematica Iva si potrebbe risolvere adeguandosi alle sentenze della Corte di giustizia Ue, vale a dire allineando l’attuale testo dell’articolo 26 del Dpr 633/72 alle disposizioni in vigore in ambito reddituale in tema di perdite su crediti (comprese quelle sui “mini crediti”). Per l’Irpef sugli incassi post chiusura, invece, l’inquadramento come “redditi diversi” sembra assai più equilibrato rispetto a imporre una scelta tra anticipare la tassazione (in violazione della capacità contributiva) e mantenere aperta una partita Iva priva di ogni ragion d’essere.