Se l’appalto ha contenuto tecnologico la riservatezza prevale sulla trasparenza
In un appalto pubblico per l'affidamento di servizi ad alto tasso tecnologico l'esigenza di riservatezza delle informazioni tecniche e commerciali contenute nelle offerte delle imprese prevale sul diritto d'accesso agli atti. A chiarirlo è il Consiglio di Stato – sentenza 3909/2016, Quinta sezione, 20 settembre – nel bocciare l'appello di una società di servizi contro la sentenza dei giudici di primo grado che aveva ritenuto legittima la decisione della concessionaria del trasporto pubblico di Roma Capitale, Atac, di “blindare” la documentazione del bando per il servizio sperimentale di bigliettazione online, solo in parte disciplinato dal Codice appalti poiché inquadrato in uno dei «settori speciali» (Allegato II-B, Dlgs 163/2006). La ricorrente, classificatasi ultima tra dieci operatori – “manifestazioni d'interesse” scelte in base al criterio “aggregativo-compensatore” con confronto a coppie e non all'“offerta economicamente più vantaggiosa” come ammesso dall'art. 206 del Codice - aveva ipotizzato un diverso esito della gara e aveva perciò chiesto di accedere integramente a tutti gli atti per verificare la regolarità dei punteggi. La stazione appaltante le aveva fornito solo alcuni documenti, ma non le offerte tecniche: come invocato dalle stesse aziende, esse contenevano «soluzioni e modalità tecnologiche specifiche» da tenere riservate.
Palazzo Spada ha spiegato che in questi casi prevalgono i «divieti di divulgazione» fissati dal Codice appalti (lettera a, comma 5, art. 13) per cui, in deroga alle norme sull'accesso agli atti amministrativi (art. 22 e seguenti, legge 241/1990), non sono accessibili «le informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali». Secondo il collegio, anche se l'esigenza di tutelare la segretezza di specifici dati aziendali non può tradursi in un «escamotage per omettere in modo sistematico e ingiustificato l'accesso agli atti», al contrario, quando la peculiarità della gara è l'«acquisizione di progetti sperimentali e innovativi in un settore ad alto contenuto tecnologico», il “no” all'accesso ha, come in questo caso, «un'effettiva ratio giustificatrice».
In questi settori «speciali», a detta dei giudici, serve infatti «la massima cautela» contro «il rischio anche solo potenziale» che la richiesta di accesso, «lungi dal mirare all'effettivo perseguimento di finalità defensionali», miri solo a conoscere dettagli commerciali riservati, «al di là di un qualunque ed effettivo interesse alla comparazione fra la propria offerta tecnica e quella dei concorrenti la cui offerta costituisce oggetto di domanda ostensiva».
Nella sentenza si è sottolineato che la domanda d'accesso non presentava «alcun elemento – neppure di carattere minimale» in base al quale la conoscenza degli atti avrebbe potuto ribaltare la graduatoria, e si è ribadito che la stazione appaltante aveva rispettato i principi generali di trasparenza e par condicio esercitando legittimamente la facoltà di stabilire criteri di scelta propri rispetto a quelli ordinari data la specificità della gara (nessun ribasso ed esame della «funzionalità del sistema» senza garanzia di attivazione “a regime”).
Consiglio di Stato, sentenza 20 settembre 2016, n. 3909