Sentenza "pilota"di Belluno, obbligo vaccinale quale integrazione della sicurezza nei luoghi di lavoro
Sotto la lente la recente pronuncia del Tribunale di Belluno (16 marzo 2021) che sancisce la legittimità della sospensione degli operatori RSA che rifiutano di vaccinarsi, nell'ottica della corretta osservanza della posizione di garanzia posta a carico del datore di lavoro
Con un provvedimento estremamente sintetico ma dai forti e chiari contenuti motivazionali, il Tribunale di Belluno , la settimana scorsa, ha respinto il ricorso cautelare promosso da una serie di operatori socio sanitari, che avevano impugnato la decisione datoriale di sospendere il rapporto di lavoro, a seguito del rifiuto, dai medesimi espresso, di sottoporsi alla dose del vaccino immunizzante contro il Covid-19.
Più in particolare, le strutture sanitarie (R.S.A) presso cui prestavano la propria opera i ricorrenti, preso atto della esternata indisponibilità vaccinale dei lavoratori e della dichiarazione di "inidoneità al servizio" formulata dal medico presso il quale i dipendenti erano stati sottoposti a visita, avevano optato per la sospensione del rapporto di lavoro con annessa mancata erogazione stipendiale, in considerazione dell'intervenuta «impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista» da parte degli operatori sanitari de qua.
I dipendenti delle RSA avevano, pertanto, adito, con ricorso ex art 700 cpc, la competente Autorità Giudiziaria, lamentando l'illegittimità della decisione datoriale ed invocandone la stigmatizzazione giudiziale, con richiesta di reintegrazione immediata nel posto di lavoro e nella retribuzione, sul presupposto della incomprimibilità della libertà di scelta vaccinale prevista dall'ordinamento italiano e in particolar modo dalla Costituzione.
Il Tribunale bellunese, tuttavia, con una pronuncia che, per alcuni versi, può definirsi "pilota", ha disposto il rigetto della pretesa attorea, evidenziando come "... la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell'obbligo di cui all'art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei suoi dipendenti; (e) che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa …(omissis) costituisce una misura idonea a tutelare l'integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l'evoluzione della malattia ..." .
Il nodo gordiano dell'arresto giurisprudenziale in commento, dunque, si incentra sulla compiuta valutazione di primazia, fatta propria dal Giudice veneto, della posizione di garanzia che incombe sul datore di lavoro (in base alla complessiva normativa posta a sostegno del dovere di protezione, sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro), rispetto alla tutela non mediata del diritto alla libertà vaccinale ad opera del singolo, quale corollario attuativo del disposto costituzionale di cui al secondo comma dell'art. 32 Cost, secondo cui nessuno può essere obbligato a sottoporsi ad un trattamento sanitario se non in forza di una disposizione di legge.
A ben vedere, invero, il dato di partenza di ogni analisi in materia oltre che il punto focale dell'addotta motivazione giudiziale, è rappresentato, a ragione, dalla legislazione estensiva in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, che trova nell'alveo dell'art. 2087 c.c. una vera e propria previsione in bianco di chiusura del sistema, posta a "custodia cerbera" della complessiva produzione regolamentare e normativa in tema di salvaguardia e prevenzione nel contesto lavorativo.
Per espressa voluntas legis, infatti, "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro" e, dunque, viene individuato come l'effettivo e principale garante e custode del dovere di protezione "aperto" imposto dal legislatore, siccome in continua evoluzione ed in stringente rapporto di diretta derivazione con i costanti progressi tecnologici, scientifici, medici ed esperienziali che via via intervengono a veicolare nuove e migliori tecniche di tutela, prevenzione e sicurezza.
Ecco, dunque, che viene in rilievo non solo il doveroso rispetto di tutto il sostrato normativo stratificatosi in materia (pensiamo innanzitutto ed in via prettamente esemplificativa, alle previsioni del D.lgs. 81/2008 meglio noto come Testo Unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, con particolare riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 266 e ss sui rischi di esposizione ad agenti biologici e sulla necessità di disporre l'allontanamento temporaneo del lavoratore per inidoneità alla mansione, sino ad arrivare al Documento di valutazione dei rischi aziendale ed alla sorveglianza sanitaria del medico del lavoro), ma anche l'imposto adattamento datoriale alla permanente esigenza di applicazione migliorativa di ogni misura di prevenzione che l'esperienza, la scienza e la tecnica, nel tempo, suggeriscono, tra cui, alla luce dell'emergenza pandemica di matrice globale in essere, si annovera certamente l'immunizzazione vaccinale.
Su tali presupposti, dunque, il potere/dovere datoriale di adottare un sistema di prevenzione, protezione e tutela adeguato si traduce, certamente, nella possibilità (se non addirittura necessità) di ricorrere alla copertura vaccinale, specie in settori, come quelli delle RSA, in cui gli operatori sanitari lavorano in stretto contatto con l'utenza ed in cui il rischio di contagio e diffusione del virus da Covid – 19 è stato a ragione qualificato molto elevato, tanto da inserire il comparto nel novero dei destinatari prioritari delle dosi vaccinali.
Ed è allora su tale contesto di riferimento che va necessariamente analizzata la scelta datoriale, più o meno obbligata, di sospendere il rapporto di lavoro de qua (con annessa mancata erogazione stipendiale) proprio in considerazione dell'intervenuta «impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista» da parte degli operatori che si erano rifiutati di sottoporsi al vaccino.
A ben vedere, infatti, in uno scenario di questo tipo, alle incombenze datoriali di valutazione del rischio concreto di contagio sul luogo di lavoro e di individuazione della copertura vaccinale quale misura di tutela approntata dal progresso medico/scientifico, fa indubbiamente da contraltare l'obbligo legislativamente imposto ai lavoratori di tutelare la propria e l'altrui salute, uniformandosi all'osservanza delle disposizioni impartite dal datore di lavoro in tema di protezione collettiva ed individuale, come ad esempio sancito dall'art. 20 del menzionato T.U.
Ma non è tutto. Il punto focale nell'analisi della materia in commento, invero, non attiene alla censura della condotta datoriale per assenza di una espressa previsione normativa impositiva dell'obbligo vaccinale, quanto piuttosto alla valutazione della corretta osservanza della posizione di garanzia posta a carico del datore di lavoro, nel rispetto della richiamata normativa a tutela della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro e delle obbligazioni di condotta poste a carico di tutti i protagonisti della vicenda lavorativa stricto sensu.
In tale prospettiva, dunque, si potrebbe giocoforza ritenere non solo che la scelta assunta dalla datrice di lavoro risulti conforme alla evidenziata legislazione codicistica e primaria diffusamente indicata, ma che la stessa appaia addirittura sussumibile nell'alveo di copertura dello stesso art. 32 della Costituzione, sotto forma di condotta di protezione della salute collettiva, intesa in senso non limitato ai lavoratori interessati dal provvedimento ma, anche e (forse) soprattutto, ai terzi in diretto contatto con gli stessi, in attuazione del noto principio del neminem laedere di sempreverde attuazione.
Sotto tale angolo visuale, pertanto, non potrebbe ravvisarsi nella fattispecie in esame alcuna compressione del diritto alla salute sotto forma di imposizione vaccinale ingiustificata e normativamente non prevista, quanto piuttosto una espansione di tutela in ottica plurindividuale della portata dell'art 32 della Cost.,in una corretta integrazione della normativa di garanzia posta a presidio della sicurezza dei luoghi di lavoro.
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*A cura dell'Avv. Paolo Patrizio, Studio Legale Patrizio, Partner 24 ORE Avvocati
Ciro Cafiero*
Norme & Tributi Plus DirittoCristiano Cominotto *
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