Civile

Separazione, atto pubblico per sciogliere una donazione

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di Angelo Busani

È nullo, perché non rivestito della forma dell’atto pubblico, l’accordo, raggiunto dai coniugi in sede di separazione consensuale (e omologato dal Tribunale), di risolvere una donazione che il marito aveva effettuato in passato a favore della moglie.

Lo sancisce la Cassazione nell’ordinanza 5937 del 3 marzo 2020 con la quale la moglie ottiene di non dover adempiere all’obbligo assunto nell’accordo di separazione.

La giurisprudenza
La decisione si basa sull’idea che nel nostro ordinamento vige il cosiddetto principio di “simmetria delle forme” (che ha una specifica esplicazione nell’articolo 1351 del Codice civile, il quale impone che il contratto preliminare debba avere, a pena di nullità, la stessa forma del contratto definitivo); ebbene, in base a detto principio, il negozio “accessorio” deve avere, a pena di nullità, la stessa forma del negozio “principale” (si tratta di una conclusione cui la Cassazione giunse, a Sezioni unite, con la sentenza 8878/1990 e che poi è stato ribadito in una pluralità di successive decisioni: 14524/2002, 9341/2004, 8504/2011, 13290/2015, 30446/2018).

Il caso attuale
Nel caso concreto esaminato nell’ordinanza, il negozio accessorio era il contratto risolutivo e il negozio principale era una donazione: allora, dato che la donazione deve essere stipulata, a pena di invalidità, nella forma dell’atto pubblico (ai sensi dell’articolo 782 del Codice civile), nella medesima forma dell’atto pubblico deve essere stipulato anche il contratto risolutivo.

Pertanto, dato che l’accordo raggiunto in sede di separazione coniugale non rivestiva la forma dell’atto pubblico, si tratta di un accordo nullo di cui il marito non può pretenderne l’esecuzione coattiva (che, invero, il Tribunale di Napoli aveva concesso con una sentenza poi riformata dalla sentenza d’appello, quest’ultima confermata in Cassazione).

Cosa cambia con la separazione
L’ordinanza 5937/2020 è inoltre interessante perché c’è spazio per riflettere anche sulla natura delle convenzioni stipulate tra i coniugi in sede di separazione.

Infatti, il coniuge donante ha compiuto il tentativo di convincere la Corte di cassazione a considerare l’accordo risolutivo della donazione come un negozio a se stante il quale troverebbe la sua causa nel particolare contesto (l’accordo di separazione coniugale) nel quale esso è stato stipulato.

Tentativo non riuscito, in quanto la Suprema corte ha continuato a concentrarsi sul rapporto tra contratto risolutivo e contratto risolto (e a derivare da quest’ultimo la forma necessaria per quell’altro).

Ebbene, la Cassazione osserva che l’accordo di separazione coniugale, contenente attribuzioni patrimoniali da parte di un coniuge nei confronti dell’altro coniuge, «conoscono nell’esperienza giudiziaria una loro tipicità sostenuta dalla volontà dei coniugi di dare una sistemazione» ai loro rapporti patrimoniali in occasione della separazione.

In tale contesto, l’intento sotteso a tali accordi sfugge a una connotazione sia in termini di donazione (tutto si vuole, in tale àmbito, meno che effettuare liberalità) sia in termini di compravendita, in assenza di un prezzo.

Corte di cassazione – Sezione I – Ordinanza 3 marzo 2020 n.5937

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