Famiglia

Separazione, le conseguenze del mancato pagamento del mantenimento

Dal punto di vista civilistico, l’ordinamento riconosce diversi strumenti a tutela del credito da mantenimento

Judge gavel deciding on marriage divorce

di Rossella Pulci*

Il dovere di mantenere i figli, che siano nati durante il matrimonio o all’infuori di esso, è collocato al livello più alto del nostro ordinamento, trovando riconoscimento nell’art. 30 Cost.

Quando la coppia cessa di essere tale, l’ammontare del contributo al mantenimento che ciascun genitore deve fornire ai figli viene stabilito dall’accordo tra le parti autorizzato dal Pubblico Ministero (in caso di negoziazione assistita), oppure da una sentenza del Tribunale (in caso di separazione o divorzio o disciplina di figli non matrimoniali, sia in caso di procedure consensuali che giudiziali).

Con le medesime modalità si può stabilire, inoltre, un versamento a favore dell’ex coniuge (in questo caso, restano escluse le coppie non coniugate, non avendo esse assunto né i diritti, né i doveri derivanti dal matrimonio).

Ma cosa accade se l’obbligo così deliberato non viene rispettato?

Ci sono alcuni casi in cui l’inadempimento ha sottese delle ragioni giuridicamente meritevoli di accoglimento: pensiamo ai figli che raggiungono l’indipendenza economica oppure non la raggiungono per la loro colpevole inerzia, o alla perdita del lavoro da parte di chi è obbligato al versamento, o all’accrescimento del reddito o del patrimonio di chi ha diritto a ricevere l’assegno.

In tutti questi casi, è comunque necessario un diverso accordo o un diverso provvedimento giudiziale perché quell’obbligo di mantenimento cessi o si modifichi nel suo ammontare. La modifica, cioè, non è automatica per il verificarsi di condizioni diverse da quelle originarie e, in assenza di accordo o di provvedimento (che normalmente delibera con efficacia retroattiva, dal momento del deposito della domanda), l’altra parte può agire per il recupero coattivo mediante precetto e successiva esecuzione forzata.

Quando il mancato pagamento (o il mancato pagamento integrale) di quanto stabilito non è supportato da ragioni giuridicamente valide, si va incontro a conseguenze penali e civili.

Sotto il primo aspetto, l’art. 570 bis c.p. estende le pene previste dallo stesso articolo (reclusione fino a un anno o con la multa da € 103,00 ad € 1.032,00, oltre al risarcimento del danno alla parte civile) a chi violi gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Sul punto, Cass. Pen. sez. VI, sent., 17 gennaio 2024 n. 2098, dep. 13 marzo 2024 ha stabilito che la sussistenza del dolo andrà indagata accertandosi se “l’obbligato abbia effettivamente la possibilità di assolvere ai propri obblighi, senza rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza”.

Dal punto di vista civilistico, l’ordinamento riconosce diversi strumenti a tutela del credito da mantenimento. In primo luogo, la già accennata azione di recupero coattivo mediante precetto ed esecuzione forzata. Tale misura ha lo scopo di recuperare i mancati versamenti arretrati e dunque incontra il limite di essere sempre “in rincorsa” di un credito che, solitamente, incrementa di mese in mese. Inoltre, se si tratta di pignoramento presso terzi, ci sono limiti quantitativi ben precisi alle somme pignorabili.

Per ovviare a tale inconveniente, esiste la possibilità – nella pratica poco conosciuta, pur risultando molto efficace – di ricorrere al c.d. versamento diretto da parte di terzi, procedura stragiudiziale già esistente pre riforma Cartabia, ma che quest’ultima ha uniformato tra separazione, divorzio e disciplina di coppie non matrimoniali e ha ampliato anche agli accordi di negoziazione assistita. In base all’art. 473 bis 37 c.p.c.., “Il creditore cui spetta la corresponsione periodica del contributo in favore suo o della prole, dopo la costituzione in mora del debitore, inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento o l’accordo di negoziazione assistita in cui è stabilita la misura dell’assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al soggetto obbligato, con la richiesta di versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al debitore inadempiente. Il terzo è tenuto al pagamento dell’assegno dal mese successivo a quello in cui è stata effettuata la notificazione. Ove il terzo non adempia, il creditore ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovute”.

Senza dover coinvolgere il Tribunale, previa messa in mora e decorso il termine di trenta giorni, è possibile ottenere il versamento dell’assegno di mantenimento direttamente dal terzo, che nella maggior parte dei casi è il datore di lavoro dell’obbligato o il conduttore dell’immobile che l’obbligato concede in locazione. Chiaramente, la norma diventa di difficile applicazione se chi è tenuto al mantenimento è un lavoratore autonomo che non vanti crediti periodici.

Non dimentichiamo poi la possibilità di chiedere il sequestro conservativo sui beni dell’obbligato ex art. 671 c.p.c., misura cautelare che ha per presupposto “il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”. Il sequestro conservativo permette di sottrarre alla libera disponibilità del debitore i beni, che poi potranno essere aggrediti esecutivamente, rendendo altresì inefficaci, nei confronti del creditore sequestrante, gli atti di disposizione del bene compiuti dopo il sequestro. Quest’ultimo viene eseguito nelle stesse forme del pignoramento e per tale motivo viene definito anche “pignoramento anticipato”, e del pignoramento condivide i limiti quantitativi.

Infine, vi è la possibilità di iscrivere ipoteca giudizialeex art. 2818 c.c. sui beni di chi è tenuto a versare il mantenimento. Trattandosi di materia di famiglia, peraltro, la costituzione di ipoteca è esente da bolli e tasse ed il suo ammontare viene indicato dall’istante, sulla base del calcolo dei futuri importi che potrebbero non essere versati. Mentre in passato non occorreva alcun fumus boni iuris, la giurisprudenza più recente (Cass. Civ. sez. III, 24/07/2024, n. 20552) ha stabilito la necessità di accertarsi – prima di procedere con l’iscrizione dell’ipoteca – della sussistenza del pericolo di inadempimento, onde vedere rispettato il principio di buona fede. Rammentiamo, infatti, che l’iscrizione non viene notificata al debitore, il quale pertanto rischia di avvedersene solo in caso di estrazione di visura ai fini, per esempio, della vendita dell’immobile, vendita che potrebbe non concludersi a causa del gravame, per la cui cancellazione occorre l’azione del creditore o, in mancanza, quella del Tribunale.

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*A cura di Rossella Pulci – Avvocato Familiarista

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