Famiglia

Separazioni, la chat è prova salvo un disconoscimento «forte»

Addebito al ricorrente sulla base tra l’altro di messaggi da cui emergeva la sua relazione extraconiugale

di Giorgio Vaccaro

Per far perdere in un processo la qualità di prova alle riproduzioni informatiche di una chat occorre un disconoscimento «chiaro, circostanziato ed esplicito», che si deve concretizzare «nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta». Sono quindi inefficaci i semplici richiami, fatti dal ricorrente, ai propri scritti difensivi nei quali dichiarava che quanto rappresentato dalle riproduzioni informatiche non corrispondesse alla realtà dei fatti in essa descritta. Lo ha ribadito la Cassazione che, con l’ordinanza 12794 del 13 maggio 2021, ha confermata la centralità - per la dimostrazione dell’esistenza di una realtà fattuale ai fini istruttori - del deposito nel processo della famiglia delle riproduzioni informatiche di conversazioni via Sms, messaggi Email o Whatsapp: dai quali, nel caso esaminato dalla Cassazione, emergeva la relazione extraconiugale intrattenuta dal ricorrente, a cui i giudici del merito avevano addebitato la separazione.

Rientrano infatti tra le “riproduzioni”o “rappresentazioni” previste dall’articolo 2712 del Codice Civile, che riconosce queste come aventi valore di «piena prova dei fatti e delle cose rappresentate». A maggior ragione quando, come nel caso esaminato dalla Cassazione, i giudici del merito abbiano fondato il loro convincimento sugli ulteriori elementi costituiti dalla confessione stragiudiziale del ricorrente e sulle dichiarazioni dei testi, assunte durante l’istruttoria, che hanno confermato la realtà già rappresentata dalle “riproduzioni” della messaggistica depositate.

Nel caso esaminato, le contestazioni svolte con il ricorso alla Suprema corte non hanno colto nel segno: il disconoscimento non ha raggiunto il requisito di legge. La contestazione svolta appare del tutto generica, si legge nell’ordinanza, e «carente di autosufficienza: infatti sono inammissibili, per violazione dell’articolo 366 Codice di procedura civile, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione (..) al fine di renderne possibile l’esame».

La bocciatura del ricorso porta alla condanna del ricorrente alle spese del giudizio e all’onere di versare il doppio del contributo unificato.

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