Sette cani in una stanza "angusta" e "senza luce", scatta il reato di "abbandono di animali"
Lo ha confermato la Corte di cassazione, con la sentenza n. 39844 depositata oggi
Tenere sette cani (huski e salmoiedo), di cui cinque cuccioli, dentro una camera priva di luce naturale e in precarie condizioni igieniche, all'interno di una abitazione che complessivamente non supera i 40 mq, integra il reato di "abbandono di animali" (727 c.p.). Lo ha confermato la Corte di cassazione, con la sentenza n. 39844 depositata oggi.
Il giudice di merito aveva accertato "le condizioni di sporcizia dell'immobile e la totale assenza di igiene dell'abitazione", in particolare, riepiloga la decisione, l'appartamento "presentava pareti scolorite, corrose dall'urina e con tracce di muffa, pavimenti incrostati di sporco, polvere e rifiuti di vario genere sparsi ovunque". Non solo, gli spazi già "angusti" erano "ulteriormente ridotti dall'ammasso di mobili, stoviglie, panni, attrezzi sparsi sul pavimento o sul tavolo o ancora accatastati". L'ambiente era privo diluce ("la tapparella della sala ove erano detenuti i cani era guasta") e gli animali presentavano il "pelo di colore giallo a causa dell'urina". Ebbene per il Tribunale queste condizioni "comprovavano una detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttiva di grandi sofferenze". E la motivazione è stata giudicata dalla Terza sezione penale "congrua" ed anche "in linea" con i principi di diritto affermati in precedenza dalla Suprema corte.
Non ha colto nel segno dunque la difesa dell'imputato laddove, nell'ordine, ha sostenuto che non era stato valuto il fatto che i cani venivano "portati a passeggio regolarmente ogni giorno"; non risultava versassero in "condizioni di malnutrizione", e infine che essendoci cinque cuccioli le esigenze di spazio erano "ridotte".
La Cassazione, infatti, ricorda infatti che per la configurabilità del reato è sufficiente la detenzione di animali in non solo in condizioni atte a determinare "un vero e proprio processo patologico nell'animale, ma anche in quella che produce meri patimenti". Assumono rilievo, quindi, non soltanto i comportamenti che "offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione. In questo senso, la legge n. 473/1993, prosegue il ragionamento, ha radicalmente mutato il presupposto giuridico sotteso alla tutela penale degli animali, i quali sono considerati "non più fruitori di una tutela indiretta o riflessa, nella misura in cui il loro maltrattamento avesse offeso il comune sentimento di pietà, ma godono di una tutela diretta orientata a ritenerli come esseri viventi".
È stato, quindi, ritenuto integrato il reato di "abbandono" anche in situazioni quali la privazione di cibo, acqua e luce (n. 17677/2016), o le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione (n. 49298/2012), nonché dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare loro gravi sofferenze (n.15471/2018). Né si è precisato è necessaria la volontà di "infierire sull'animale" o che quest'ultimo riporti una "lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti". Legittimo anche l'aver negato le attenuanti generiche alla luce della modalità "particolarmente odiose" dell'azione "contrastante con il senso di umanità verso gli animali".
Sono state invece accolte,con rinvio al Tribunale di Milano, le doglianze relative alla entità della pena (fissata in 6.600 euro) nonché alla mancata sospensione condizionale. Infatti, avendo fissato la pena base nel massimo edittale sarebbe stato necessario un supplemento motivazionale. Inoltre avendo scelto il rito abbreviato e trattandosi di un reato contravvenzionale la riduzione della pena doveva essere della metà (rispetto al massimo di 10mila euro) e non di un terzo come invece era stato. Infine anche la mancata concessione della sospenzione condizionale, osserva la Corte, non può essere basata su una motivazione "generica" quale "non vi è certezza che in futuri si asterra dal commettere analogo reato".