Sì a dichiarazioni spontanee rese senza difensore se non c’è stata coercizione
Le dichiarazioni spontanee ex articolo 350, comma 7, del Cpp, anche se rese in assenza del difensore e senza l'avviso di poter esercitare il diritto al silenzio, sono pienamente utilizzabili nella fase procedimentale (ovvero nella fase della cognizione cautelare e in quella sulla responsabilità che si svolge nei riti a prova contratta, nella piena disponibilità dell'accusato), nella misura in cui emerga con chiarezza che l'indagato abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 25 maggio 2017 n. 26246. Per i giudici penali spetta in proposito al giudice accertare, anche d'ufficio, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, l'effettiva natura spontanea delle dichiarazioni, dando atto di tale valutazione con motivazione congrua e adeguata.
Tale disciplina del resto è pienamente compatibile con le indicazioni della normativa europea e segnatamente con quelle contenute nella direttiva 2012/13/Ue in materia di diritti di informazione dell'indagato: tale direttiva, infatti, è stata attuata con il decreto legislativo n. 101 del 2014, che non ha modificato l'articolo 350 del Cpp. Ed è anche compatibile con le indicazioni fornite dalla Corte Edu, emergendo dalle decisioni di tale organo sovranazionale solo l'esigenza che l'indagato sia protetto da ogni forma di coercizione quando viene “escusso”, che è situazione diversa rispetto al caso in cui questi decida liberamente di rendere dichiarazioni.
Si tratta di affermazioni assolutamente condivisibili e in linea con la disciplina normativa , opportunamente letta anche alla luce dei principi comunitari. Infatti, alle dichiarazioni spontanee del soggetto indagato non si applica la disposizione dell'articolo 64 del Cpp, che attiene all'interrogatorio, che non può essere confuso con le spontanee dichiarazioni, nelle quali, proprio per la loro caratteristica, nessun avvertimento preliminare potrebbe essere rivolto al dichiarante (sezione VI, 6 novembre 2009, Colace e altro). Va del resto ricordato che ciò che caratterizza, rispetto alle “dichiarazioni spontanee”, l'assunzione di informazioni e indicazioni utili per le investigazioni, cui fanno riferimento i commi 1 e 5 dell'articolo 350 del Cpp, sono la direzione dell'escussione del soggetto da parte dell'operatore di polizia giudiziaria e la riconduzione dell'escussione in un preciso ambito scelto e limitato da quest'ultimo. In questa prospettiva, peraltro, una generica sollecitazione da parte della polizia giudiziaria (nella specie, sostanziatasi nella generica frase: «che è successo?») non è idonea a tramutare la “ricezione” delle dichiarazioni spontanee del soggetto in una “assunzione” vera e propria delle stesse, sicché non sono necessari in tal caso il previo invito alla nomina del difensore, la presenza di quest'ultimo o l'avvertimento della facoltà di non rispondere (cfr. sezione II, 12 novembre 2009, Saleem e altri).
Corte di cassazione – Sezione II penale – Sentenza 25 maggio 2017 n. 26246