Società

Sì al recesso obbligatorio quando il socio smette di lavorare per la Srl

Secondo la Corte d’Appello di Torino la clausola dello statuto è legittima

Adobestock

di Angelo Busani

È da qualificare come clausola di recesso “imposto” o “obbligatorio” la previsione di uno statuto di Srl che obblighi il socio della società, nel caso in cui cessi il suo rapporto di lavoro con la società stessa (o con società da essa partecipate), a cedere agli altri consoci le proprie quote di partecipazione al capitale sociale (la cui titolarità sia stata ottenuta dal socio recedente in conseguenza di un piano di incentivazione del personale), per un prezzo pari al valore della corrispondente quota percentuale di patrimonio netto.

A questa clausola di recesso “imposto” deve comunque applicarsi la disciplina codicistica in tema di esclusione per giusta causa dalla Srl, vale a dire la norma di cui all’articolo 2473-bis del Codice civile, per la quale lo statuto della Srl «può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio», caso nel quale «si applicano le disposizioni» (comprese quelle attinenti al rimborso del socio recedente) che il Codice detta per il recesso dalla Srl.

È quanto deciso il 30 giugno 2021 dalla Corte d’Appello di Torino che ha ravvisato la giusta causa di esclusione nel venir meno dell’attività lavorativa dei soggetti in questione nell’ambito del contesto societario in cui avevano acquisito la qualità di soci, quando invece era stato proprio grazie al piano di incentivazione offerto ai dipendenti della società partecipata (al fine di fidelizzare e motivare il personale meritevole di tutela) che essi avevano ottenuto il risultato di divenire titolari di quote di partecipazione al capitale sociale a condizioni vantaggiose.

Si rende pertanto valutabile in termini di liceità, la previsione statutaria per la quale il venir meno della qualità di dipendente della società (il cui capitale sia stato in parte offerto ai soci per ragioni di incentivazione) concreti una giusta causa di esclusione, in quanto la giusta causa può essere intravista proprio nella «perdita di requisiti soggettivi o» in «altri eventi concernenti la persona del socio o» in «altre circostanze che intacchino l’efficienza organizzativa della posizione sociale dell’escludendo».

Quanto al rimborso dovuto al socio “obbligato al recesso”, la Corte esclude che abbia carattere inderogabile (con riguardo al recesso derivante da una causa convenzionale) la norma che impone la liquidazione del socio recedente con una somma di denaro pari al valore corrente della quota di partecipazione in relazione alla quale il recesso è esercitato. Dato che, dunque, anche la previsione in statuto di una fattispecie di esclusione per giusta causa ha una fonte convenzionale, si rende legittima la clausola statutaria che, per il caso del recesso “imposto”, disponga appunto il rimborso del socio in rapporto al solo valore del patrimonio netto della società e non in rapporto all’effettivo valore della quota rimborsata al socio escluso.

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