Penale

Sicurezza lavoro, la variante non muta l’unicità del cantiere

Per la Cassazione, sentenza n. 34387/2024, la nozione di cantiere dev’essere rapportata all’opera da realizzare e il momento della sua cessazione coincide con l’ultimazione dei lavori

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di Francesco Machina Grifeo

Linea dura della Cassazione sulla sicurezza lavoro nei cantieri. La Quarta sezione penale, sentenza n. 34387/2024, ha respinto il ricorso di un uomo condannato dalla Corte d’appello di Napoli per omicidio colposo aggravato perché in qualità di coordinatore per la sicurezza, non aveva predisposto alcun piano. Era accaduto che il dipendente di una ditta appaltatrice (il cui legale rappresentante era stato, a sua volta, condannato), nonostante la sospensione dei lavori, si era recato, su disposizione del datore di lavoro, sul cantiere per ritirare degli attrezzi ed era precipitato da un balcone privo di protezioni e senza essere munito di cintura di sicurezza.

Il ricorrente aveva contestato il concetto stesso di cantiere unico, inferendo l’insussistenza del rischio interferenziale proprio muovendo dall’assunto che, nella specie, vi fossero stati due, distinti cantieri a distanza temporale l’un dall’altro. Da ciò ne seguiva l’irrilevanza della nomina del coordinatore da parte della committenza e, quindi, anche quella della mancata predisposizione del piano di sicurezza e coordinamento, oggetto dell’imputazione.

Per la Cassazione, tuttavia, l’unicità del cantiere non è collegata, come evoca la difesa, al titolo edilizio e alle eventuali varianti di esso che siano state via via approvate. Del resto, prosegue, dall’obbligo di aggiornare la notifica inviata alla Usl a alla Dpl, prima dell’inizio dei lavori, nel caso di varianti in corso d’opera, “possiamo trarre, quale logica conseguenza, che il sopraggiungere di nuovi provvedimenti di autorizzazione dei lavori non muta l’identità del cantiere, che è determinata dall’opera, per come inizialmente progettata e via via definita, sino al completamento, anche in forza di varianti”.

E se l’evoluzione dell’opera, legittimata sul piano amministrativo da nuovi provvedimenti, può far insorgere le condizioni per la nomina del coordinatore, non presenti ab origine,; ciò non si riflette in una ’novazione’ del cantiere. Pertanto, questo persiste sino alla effettiva ultimazione dei lavori.

Sulla base di questa ricostruzione la Suprema corte ha affermato il seguente principio di diritto: “ai fini dell’applicazione dell’obbligo di nominare il coordinatore per la progettazione e quello per l’esecuzione dei lavori, ex art. 90, comma 3, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, la nozione di cantiere dev’essere rapportata all’opera da realizzare e il momento della sua cessazione non è determinato da eventuali varianti in corso d’opera, ma dall’effettiva ultimazione di tutti i lavori ad essa inerenti”.

È allora è “erronea … l’equazione proposta dalla difesa per la quale una variante in corso d’opera darebbe vita a un cantiere nuovo, posto che il cantiere, sempre in base all’impianto normativo, si identifica nell’opera stessa”.

Del resto, l’esistenza del rischio da interferenza lavorativa riconducibile alla potenziale compresenza, anche non contemporanea, di più imprese, è stata chiaramente rappresentata dal primo giudice, secondo il quale l’imputato aveva l’obbligo di redigere il PSC “per l’evidente ragione che il cantiere aveva ad oggetto opere la cui esecuzione richiedeva necessariamente l’intervento di una pluralità di ditte”; il tutto era stato agganciato a “dati fattuali”.

Infine, con riguardo alla entità della pena, la Cassazione ricorda che i giudici del merito “hanno formulato un chiaro giudizio di particolare disvalore, avendo ritenuto che l’inadempimento … era stato macroscopico poiché l’imputato aveva affidato le condizioni di sicurezza del cantiere alla diligenza di una ditta esecutrice, a fronte di un rischio interferenziale che, nei termini sopra già chiariti, è compito precipuo di tale specifica figura della sicurezza gestire”.

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